Civil War, recensione: un film che dovremmo vedere tutti (compreso il presidente USA, chiunque sia)

La recensione di Civil War: il film di Alex Garland, oltre ad essere uno dei migliori titoli del 2024, è una digressione sul potere delle storie raccontate dai giornalisti, facendoci immergere nell'ipotetico (?) futuro post-Capitol Hill. Perché ormai è chiaro: gli USA sono sull'orlo di una crisi di nervi. Al cinema dal 18 aprile.

Civil War, recensione: un film che dovremmo vedere tutti (compreso il presidente USA, chiunque sia)

Make America Great Again. Prima Ronald Regan nel 1980, poi Bill Clinton nel 1992 (già!) e ancora, come ben sappiamo, Donald Trump dal 2016. Uno slogan, un paradigma, un fenomeno sociale, politico, popolare. Con una particolarità: a leggerlo bene, e dalla giusta prospettiva, sembra tanto una sorta di monito, che aleggia su un Paese in forte declino, spaccato dall'ideologia, dalla rabbia, dalle differenziazioni etniche e sociali. Risollevare l'America, renderla di nuovo grande. Con una suggestione: gli Stati Uniti d'America, sono mai stati grandi? E allora, aprendo la recensione di Civil War, diretto e scritto da Alex Garland, mettiamo subito in chiaro le cose: oltre essere uno dei film più belli del 2024 (anno delicato, anno di elezioni), è anche una sorta di spietato avvertimento. Perché il cinema è grande quando vede vede e prevede, quando anticipa e non insegue: in questo senso, Civil War sorprende per intensità e puntualità, costipando un'esplosiva messa in scena in meno di due ore.

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Civil War: la "nuova" bandiera degli Stati Uniti d'America...

Anticipando, appunto, un futuro imminente, dove lo status quo, che si aggrappa disperatamente alla Resolute Desk dello Studio Ovale (in senso letterale, vedrete poi nel film), perde ogni sua forma di controllo, sciogliendosi in un caos che ingoia tutti. Nessuno escluso. E lo ammettiamo: dalle prime immagini credevamo che una tale potenza scenica, magari avvicinabile a grandi produzioni mainstream, non rientrasse nella poetica di Garland, né nell'ottica di A24, che distribuisce negli USA (da sempre più vicina all'intimità). Eppure, è meraviglioso quando un film contraddice le nostre aspettative. Il motivo? Semplice, Civil War è tutto il contrario di ciò che si potrebbe anche solo pensare vedendo il trailer. È un film di scrittura, di personaggi, di ambienti, di frammenti, scuotendo e soggiogando, facendoci provare emozioni contraddittorie e, per questo, incredibilmente lucide nella loro inquietante lettura.

Civil War, o tutto ciò che deriva dall'assedio di Capitol Hill

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Civil War: Wagner Moura in una scena del film

E non è un azzardo pensare che Civil War sia il sequel spirituale, e nemmeno tanto artistico, di ciò che è successo il 6 gennaio 2021 a Capitol Hill. Del resto, il film inizia proprio con le immagini dell'assedio al Campidoglio, avvolte dalla sincopata colonna sonora di Ben Salisbury e Geoff Barrow (che splendido lavoro). Successivamente, entra in scena Nick Offerman, nei panni del Presidente degli USA. Sta per parlare alla Nazione. O a ciò che ne resta. Infatti, ci ritroviamo in un futuro prossimo in cui gli Stati Uniti d'America sono lacerati dalla Seconda Guerra Civile. Da una parte il governo americano, dittatoriale e rintanato a Washington, dall'altra le forze occidentali secessioniste, guidate dal Texas e dalla California. In mezzo, come sempre, il popolo.

Civil War Recensione Film Alex Garland
Civil War: Kirsten Dunst nel film

Attenzione, però: Civil War non lo considereremo un film distopico, né una sorta di war movie, tantomeno è un film sulle motivazioni che hanno scatenato la guerra civile (appaiono lampanti quanto secondarie). Quello di Alex Garland è un film sull'attimo, e sull'adesso. È un film sulle conseguenze, e sull'importanza di raccontare una storia: al centro della trama, infatti, un gruppo di giornalisti e foto-reporter. Chi sono? Lee (Kirsten Dunst), reporter di guerra; il suo collega Joel (Wagner Moura); il mentore Sammy (Stephen McKinley Henderson) e la giovane fotografa Jessie (Cailee Spaeney), tutti insieme, armati solo di rullini, obiettivi e macchine fotografiche, per quella che sembra una missione ad alto rischio: arrivare a Washington e intervistare il Presidente, prima che il governo venga definitivamente decapitato.

Se il mito americano è ormai un rottame

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Civil War: Kirsten Dunst in una scena

Lo abbiamo quindi scritto nel titolo dell'articolo: Civil War è un film che dovrebbe essere visto da tutti, anche più volte. Andrebbe visto, compreso, assimilato. E andrebbe visto soprattutto da coloro che si aggirano nelle stanze del potere. Alex Garland, in questo senso, non fa sconti, lanciando una dirompente accusa contro il sistema, volutamente esacerbato da una classe politica disposta a tutto pur di mantenere il controllo di una democrazia dai tratti, questi sì, aberranti e distopici nella loro tremenda realtà. Nessuno escluso, quindi, niente sconti, né ammiccamenti. Tutti, che siano Democratici o Repubblicani (restando nel contesto USA, ma il discorso è applicabile universalmente) sono colpevoli di aver avvelenato il clima sociale, macchiandolo da una retorica divenuta esplosiva e incontrollabile. Per questo, nella sua turgida messa in scena, che non lascia spazio al respiro, la pellicola ci tiene bloccati sulla poltrona come poche volte capita.

Cailee Spaeny In Civil War Copy
Civil War: Cailee Spaeny in una scena del film

Anche perché Civil War è l'emblema cinematografico della contraddizione moderna, lanciando messaggi splendidamente controversi nella loro esplorazione dello spirito umano, che si esalta nella violenza intrisa di un Paese che ha divorato sé stesso, finendo dritto dritto al centro di una crisi di nervi pronti ad esplodere, facendo crollare definitivamente un sogno diventato incubo - ed è questo il centro strutturale del film. Contraddizioni visive, emotive, e anche sonore. Garland, che aveva già affrontato il futuro con Ex Machina, ribalta lo sguardo, utilizzando le fotografie dei reporter come strumento di racconto, tra istantanee e scatti, a testimoniare l'orrore che diventa scopo e ossessione: un road movie di sola andata che taglia a metà gli States, ormai impazziti, distrutti e bruciati. Grazie al loro sacrificio e alla loro abnegazione al valore di una storia (come fine ultimo, come strumento di vigilanza contro il predominio), assistiamo al tracollo del mito americano, fotografandolo come Robert Capa, nel 1936, fotografava un uomo trafitto a morte. In qualche modo Civil War diventa di importanza nevralgica, e fortemente simbolica: così, se il cinema aveva fatto affidamento sull'american dream, creando il mito e l'icona, Alex Garland ribalta il mito stesso, accartocciandolo. In poco meno di dure ore viene tirato un punto-e-a-capo, facendo sì che Civil War sia il riflesso realista di un mondo ormai in fiamme, osservato tramite l'obiettivo del regista, sovrapposto all'obiettivo dei reporter protagonisti, inquadrando (e custodendo) la verità in tutta la sua sconvolgente e folgorante potenza. Make America Great Again.

Conclusioni

Non era facile, eppure Alex Garland è riuscito a realizzare un film tanto spettacolare quanto rivelatorio, attualissimo e ferocemente politico. Dall'altra parte, come spiegato nella recensione di Civil War, l'opera, che tiene in piedi una contraddizione costante e folgorante (nella scrittura quanto nell'estetica), è una sorta di ode al potere delle storie, raccontate e immortalate dai giornalisti. Perché sono loro, secondo il regista, gli occhi che vigilano sulle derive di una società spinta al limite. Stordente, e in qualche profetico.

Movieplayer.it
4.5/5
Voto medio
4.5/5

Perché ci piace

  • La storia, sorretta da un grande cast.
  • La messa in scena, incredibile.
  • Il tono costantemente contraddittorio. Non era facile.
  • L'"omaggio" al mestiere del reporter.
  • Il sound design.

Cosa non va

  • Potrebbe suggerire un certo auto-compiacimento.