Recensione Gone Baby Gone (2007)

Che Gone Baby Gone sia un dramma morale travestito da thriller investigativo è cosa chiara e pacifica. Lo era anche Mystic River con cui il film di Affleck condivide l'autore del romanzo di partenza.

Che fine ha fatto Baby Amanda?

Sarà che Ben Affleck ha questa faccia da ormone della crescita, così "colpevolmente" americana, che ispira simpatia. Sarà poi che la sua volontà di tirarsi fuori dagli angusti confini del suo personaggio, dopo gli exploit di inizio carriera, appaiono encomiabili. Ma anche se la cosa può scaldare il cuore di taluni, non basta a giustificare la calorosissima accoglienza che la critica americana ha riservato alla sua opera prima da regista. Un consenso quasi plebiscitario che rimane misterioso a visione completata. Forse perché Gone Baby Gone vuole sembrare quello che in realtà non è. Ovvero un bel drammone dal respiro classico, con al centro una questione di grande profondità morale. Bel paradosso per un film debole e sfilacciato, talmente ossessionato dalla questione che mette in campo da rendere pretestuosa tutta l'impalcatura narrativa su cui si costruisce.

Che Gone Baby Gone sia un dramma morale travestito da thriller investigativo è cosa chiara e pacifica. Lo era anche Mystic River con cui il film di Affleck condivide l'autore del romanzo di partenza. Dennis Lehane, d'altronde, è scrittore affamato di temi forti, resi avvincenti attraverso il meccanismo del ribaltamento delle aspettative e tinti con una volontà esplicativa al limite del ricattatorio. Diventa ovvio allora che in una trasposizione cinematografica il manico finisce per fare tutta la differenza di questo mondo. E se il buon Affleck non è ovviamente Clint Eastwood e si affida a un classismo manierato e senza acuti, il tema dell'uso arbitrario delle regole per il bene di una bambina e l'importanza della scelta sul suo affidamento, in questo contesto, sanno più di dibattito da talk show pomeridiano, che di riflessione di chissà quale portata. Specie se raccontate con i tempi e i personaggi di un thriller convenzionale, ma con una solennità imbarazzante. Scambiando l'umanesimo per una drammaturgia fatta di banali psicologismi che raggiungono il culmine nei personaggi di Ed Harris e Morgan Freeman.

Diventa quindi piuttosto inutile aggrapparsi a una detective improbabile (negli sviluppi) in cui Patrick Kenzie e Angela Gennaro (con i volti interessanti di Casey Affleck e Michelle Monaghan) vengono chiamati ad investigare sulla scomparsa della piccola Amanda McCready. Parallelamente a loro si muovono i due classici poliziotti induriti dalla vita di strada, tratteggiati in modo piatto e scolastico. Rovistando nei bassifondi, tra disastri familiari, malviventi di poco conto, gangster con più oro che cervello e tossici da quattro soldi emergono una serie di rivelazioni che spostano di continuo le indagini su sospettati sempre più imprevedibili. Un procedimento investigativo confuso e gratuito che procede per accumulo e non manca di incongruenze decisamente evidenti, la gran parte risolte con spiegoni inutili e irritanti. Tutto per instradare - con una metodologia da film a tesi che le scelte di Affleck non riescono mai a celare - Patrick e lo spettatore verso la difficoltà di una scelta morale che cannibalizza l'intero film.