Recensione Charlie Says: Charles Manson all'epoca del MeToo

La recensione di Charlie Says: i delitti di Charles Manson e della sua family al centro del film di Mary Harron e Matt Smith interpreta il ruolo di Manson.

Charile Says

I criminali psicopatici sembrano esercitare un fascino irresistibile su Mary Harron. La regista di American Psycho e I Shot Andy Warhol stavolta affronta la narrazione delle gesta del più morboso e sinistramente affascinante tra loro, Charles Manson. Nel ruolo di Manson, che nei prossimi mesi sarà al centro di numerosi progetti televisivi e cinematografici, la Harron ha richiesto i servigi dell'inglese Matt Smith, star di Doctor Who. Nella sua visione, però, non è Manson il protagonista della storia narrata in Charlie Says.

Al centro del film vi sono tre giovani donne, membri della Manson Family, colpevoli degli efferati delitti dell'estate 1969 che videro, tra le vittime, l'attrice Sharon Tate. Dopo aver ricevuto la grazia, Patricia Krenwinkel (Sosie Bacon, emersa di recente con la serie Tredici), Leslie Van Houten (Hannah Murray) e Susan Atkins (Marianne Rendón) sono rinchiuse in isolamento presso il California Institution for Women. La criminologa femminista Karlene Faith (interpretata con passione da Merrit Wever) riceve l'incarico di indirizzare le tre giovani donne verso un percorso di riabilitazione attraverso lo studio. La frequentazione delle tre detenute la porterà a toccare con mano l'influenza nefasta di Charles Manson e delle sue folli teorie, inculcate nella mente delle ragazze attraverso un vero e proprio lavaggio del cervello.

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1969: l'estate dell'amore e della follia

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Charlie Says: una scena del film

Estate dell'amore e della libertà? Il '69 alla Manson Factory è assai lontano dagli ideali propagandati dalla letteratura e dalla musica dell'epoca. Pur riempiendosi la bocca di parole come "libertà" e "spontaneità", il mentore della Family esercita il suo fascino nefasto sugli adepti plasmando la comune intorno a un coacervo di regole maschiliste. Manson fa sesso con tutte le ragazze a turno, ma si infuria quando giacciono con altri uomini senza il suo consenso. Le giovani sono, inoltre, costrette ad aspettare che gli uomini si siano serviti prima di poter mangiare, ma il lavaggio del cervello a cui sono sottoposte fa credere loro che questa sia una decisione presa in libertà.

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Charlie Says: Matt Smith in una scena del film

Lo sguardo impietoso di Mary Harron dipinge Charles Manson come un musicista fallito (il tentativo di Dennis Wilson dei Beach Boys, frequentatore della family, di trovargli un contratto discografico si rivela un buco nell'acqua) che si è impossessato della proprietà di un anziano inerme, lo Spahn Ranch nella Los Angeles County, riunendo intorno a sé un coacervo di hippy sbandati che pendono dalle sue labbra. Dietro l'aura da guru, Manson cela una violenza trattenuta, almeno al principio, ma pronta a esplodere di fronte al minimo cenno di disaccordo. Arrogante, manipolatore, narcisista, amorale, il ritratto di Charles Manson emerge a poco a poco in un puzzle di flashback filtrati attraverso il punto di vista delle sue tre adepte, che nel '72, mentre sono in carcere, ricordano gli eventi occorsi tre anni prima. L'alternanza tra i due piani temporali dà movimento alla storia colmando i vuoti e cercando di dare un senso all'escalation di violenza culminata nella morte di Sharon Tate.

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Maschile versus femminile

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Charlie Says: Hannah Murray, Sosie Bacon e Marianne Rendon

Nella visione femminile e femminista di Mary Harron, Patricia, Leslie e Susan non sono viste come efferrate assassine, ma sono vittime a loro volta. Il leader della family fa leva sulla fragilità delle sue adepte, convincendole a tagliare i ponti con il passato, inculcando nella loro testa un'idea di "rinascita" - con tanto di cambio del nome e battesimo sessuale - e cancellando, di fatto, la loro identità. La sua coercizione non avviene attraverso l'uso della forza fisica, ma del plagio. Le sue lusinghe fanno sentire ragazze insicure attraenti, amate, importanti, in cambio loro sono pronte a fare qualsiasi cosa per il loro leader fidandosi ciecamente dei suoi insegnamenti. Charles Manson le seduce sfruttando il suo potere e il suo carisma, la sua figura riflette tutti quegli uomini di potere che sviliscono e umiliano la figura femminile creando un rapporto di sudditanza.

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Mary Harron

L'unica in grado di contrapporsi al potere perverso di Charles Manson è Karlene Faith. L'empatica criminologa tenta di "deprogrammare" la mente delle tre detenute aiutandole a recuperare la memoria di ciò che erano prima di incontrare Charles Manson. A rendere ancor più inquietante il quadro, dietro le sbarre Patricia, Susan e Leslie vengono mostrate placide, serene, quasi di buon umore. Anestetizzate nei sentimenti e nell'anima, le tre ragazze non sembrano rendersi conto della situazione in cui vivono. Solo il paziente lavoro di scavo di Karlene le porterà a dare i primi segnali di un possibile risveglio della coscienza.

Sono tanti e importanti i temi toccati da Charlie Says, ma nonostante l'argomento scottante, lo stile visivo piatto e la confezione non eccelsa rendono il film un prodotto facilmente dimenticabile. Mary Harron confeziona un'opera a metà tra affresco storico-sociale, crime movie e thriller psicanalitico, ma la sceneggiatura di Guinevere Turner pecca di superficialità, soprattutto nei momenti clou in cui i cambiamenti psicologici delle tre protagoniste vengono descritti con passaggi troppo meccanici. Il cast - Matt Smith e Hannah Murray su tutti - fa del suo meglio per ravvivare una pellicola corretta, ma anonima.

Movieplayer.it

3.0/5