Caccia al re - La narcotici: la fiction che conta

Più che l'intento pedagocico enfatizzato dagli autori, di un'opera come Caccia al re - La narcotici va rimarcato il carattere inusuale nel panorama della fiction italiana: con una crudezza e un realismo di sguardo dovuti certo all'approccio di Michele Soavi, ma anche a una generale buona cura narrativa.

Ci piace pensare che, se fosse nato 10-15 anni prima, Michele Soavi avrebbe avuto ben altra carriera. Il regista di Arrivederci amore, ciao è infatti figlio diretto di una tradizione di genere che ha avuto il suo fulcro, nel nostro cinema, tra gli anni '60 e '70, ma che ha iniziato a rifluire nel decennio successivo, consegnando alla fiction, o all'oblio, molti dei suoi migliori protagonisti. E infatti proprio in pieno periodo di riflusso, Soavi diresse il suo esordio, l'apprezzabile slasher Deliria; ma il suo talento avrebbe dovuto presto fare i conti con i drastici cambiamenti dei gusti del pubblico e delle stesse logiche produttive che stavano caratterizzando il nostro cinema. L'approdo in tv del decennio successivo, dopo una manciata di buoni horror, era in qualche modo già scritto: ma la classe registica non è mai sparita (pur tra inciampi indifendibili come Il sangue dei vinti) ed è potuta affiorare qua e là anche nelle sue produzioni per il piccolo schermo, a cui ora si aggiunge questo Caccia al re - La narcotici.

Con questa serie, che ha esordito sul primo canale Rai, con ottimi risultati, domenica 16 e lunedì 17 gennaio, Soavi si cimenta per la prima volta con una fiction a serialità lunga. Rispetto alle opere dirette in passato per il piccolo schermo (tra cui si ricorda Uno bianca), qui siamo di fronte a un prodotto di più ampio respiro: sei episodi da circa 100 minuti l'uno, un gruppo di ben dieci sceneggiatori capitanati da Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, per un'opera dalle forti tinte noir, caratterizzata a tratti da un'inusuale crudezza, e comunque all'insegna del realismo.
La trama è incentrata sulla figura del vicequestore romano Daniele Piazza (che il cognome sia un omaggio al protagonista di Milano calibro 9 di Fernando Di Leo?) che anni prima perse tragicamente la moglie, investita mentre era incinta del secondo figlio da un gruppo di malviventi che avevano appena compiuto "la rapina del secolo". Distrutto dal dolore, Piazza ha scelto di sacrificare la sua carriera di poliziotto, rinunciando a incarichi importanti per crescere al meglio sua figlia Sara: ed è proprio quest'ultima, ora quattordicenne, a raccontare in prima persona la storia, che vede suo padre a capo della squadra Narcotici impegnato contro una banda di trafficanti guidata dal misterioso "ottavo re di Roma". Presto il gruppo di malviventi si rivela collegato con quanto successe anni prima alla moglie di Piazza, dando all'uomo una motivazione ancora maggiore nel catturarli; ma la stessa Sara, che nel primo episodio vediamo in una festa di coetanei sul litorale romano, si trova a sfiorare, indirettamente, il traffico sulle cui tracce si è messo suo padre.
Più che l'intento pedagocico enfatizzato dagli autori durante la presentazione della serie, di un'opera come Caccia al re - La narcotici va rimarcato il carattere inusuale nel panorama della fiction italiana. In una collocazione come quella della prima serata di RaiUno, in effetti, è abbastanza difficile trovare forti scene d'azione, investimenti automobilistici e situazioni crude come quelle che la serie ha finora mostrato. Nonostante sia stata avanzata la differenziazione con il celebrato Romanzo Criminale - La serie in un recupero della figura positiva del poliziotto che si oppone al crimine, anche la serie di Soavi ha di fatto un'anima noir: la fascinazione per la devianza penetra nell'universo giovanile, si insinua nei normali riti adolescenziali e viene raccontata in modo esplicito e realistico, con uno sguardo il più delle volte scevro da vieti moralismi. Se è vero che la squadra di poliziotti messa insieme dal protagonista (il Gedeon Burkhard noto al pubblico come protagonista de Il commissario Rex) è mossa alla base da un ideale di giustizia trasmesso dal leader, la stessa figura di quest'ultimo è tutt'altro che unidimensionale, e non scevra da un umanissimo desiderio di vendetta; gli stessi villain, a partire dall'inquietante "re" interpretato da Stefano Dionisi fino a un inedito ed efficace Ricky Memphis, sono caratteri complessi e a tutto tondo, che la sceneggiatura sceglie di approfondire a prescindere da eventuali giudizi morali sulle loro azioni. Segno, questo, di una cura narrativa favorita certo dalla serialità lunga, e solo a tratti inficiata da qualche stereotipo di troppo; ma anche di una propensione al realismo che tuttavia non limita la dimensione di intrattenimento della serie.
Su tutto si nota la bella regia di Soavi, dinamica, caratterizzata da un montaggio serrato e da quella crudezza e visionarietà di sguardo che, seppur limitata dal formato televisivo, non può essere del tutto eliminata in un regista che si è formato alla scuola di Dario Argento. Una regia che, verrebbe da dire, è ben poco "televisiva" nel senso negativo che ormai siamo abituati ad attribuire a questo termine in Italia, e che si avvicina invece a quella fiction d'oltreoceano che ha ormai affiancato e superato il cinema in quanto a complessità, spessore delle trame e impegno produttivo. Se pure opere come Caccia al re - La narcotici non possono indurre a illudersi di una rinascita della fiction italiana, che allo stato attuale appare lontana, questo non deve impedire di prendere ciò di buono c'è anche nel bistrattato piccolo schermo, anche e soprattutto in quanto raro.