Recensione W. (2008)

Non esiste nessun livello di complessità politica, e non solo, in W.: quello che ci viene illustrato è semplicemente una classica storia di ascesa e caduta americana, all'apparenza ruvida, superficiale e assolutoria nella sostanza.

Bush, l'uomo che amava il baseball

W., di Oliver Stone, presunto film scomodo, irriverente, coraggioso e tutti gli aggettivi intransigenti del lotto è in realtà film di rara inutilità. Documento sbiadito e cronachistico di un Presidente inetto e irresponsabile, ossessionato dai suoi limiti e da una figura paterna austera e ingombrante, che gli preferisce il fratello, sempre e comunque. Inizia e finisce qui il livello di complessità di un film a tesi, svogliato e incapace di scavare minimamente più a fondo su una presidenza cruciale per gli assetti politici internazionali contemporanei. Si parte con la violenta immatricolazione (in classico stile yankee) alla confraternita universitaria dei Delta, in cui un Bush entusiasta supera tutte le prove e intraprende il suo conflittuale percorso con l'alcool, che da lì in poi lenirà i mali delle sue difficoltà scolastiche e gli scontri con il padre. I suoi tormenti giungeranno a una svolta dopo la sconfitta politica in Texas e un malore che lo riporterà sulla retta via, grazie soprattutto alla scoperta della religione cristiana. Il nuovo George Bush Junior, guidato da Dio, di lì in avanti scalerà tutte le pareti della politica, fino al risultato che tutti conosciamo. Ma il suo sogno rimarrà sempre e comunque il baseball.

Tutta la potenziale urgenza del film si sbriciola progressivamente davanti alla pochezza e alla noia dell'assunto. Tesi che mina il valore potenziale stesso del film e finisce per deresponsabilizzare l'intera politica di Bush, illustrato come sempliciotto in balia degli eventi, strumentalizzato dai venti guerrafondai del suo vice Dick Cheney. In W. non c'è neanche traccia di quel sarcasmo, quell'arroganza semplicistica e quel noto spirito provocatore di Stone e che gli hanno permesso, in passato, nel bene e nel male, di mettere le mani sulle pagine meno nobili della storia americana. In questo senso W., da una parte prosegue il cammino svilente e retorico di World Trade Center, dall'altra si dimostra il suo film più in linea con The Doors, quando le maggiori analogie era lecito attendersele rispetto a JFK o Nixon.

Non esiste difatti nessun livello di complessità politica, e non solo, in W.; quello che ci viene illustrato è semplicemente una classica storia di ascesa e caduta americana (con tanto di rinascita cristiana), all'apparenza ruvida, superficiale e assolutoria nella sostanza. Che poi lo sia per la bassa caratura del personaggio significa ben poco, visto che il film non si interroga mai una volta sulle dinamiche che hanno permesso la scalata politica di Bush, preferendo insistere a oltranza sulla sua ossessione per il baseball e sul suo fardello psicologico, ovvero questa sua ansia incrollabile e l'essere considerato una delusione dal padre, sempre e comunque. Davvero troppo poco, anche per Oliver Stone, falso mito del progressismo battagliero europeo.