Big Eyes: l’evoluzione di Tim Burton da Ed Wood alla storia dei Keane

Dopo la parentesi animata di Frankenweenie, Tim Burton torna ad un film live action mettendosi al servizio della storia vera di Walter e Margaret Keane, capaci di mettere in piedi un impero basato su una menzogna.

Tim Burton è un autore che sa raccontare la diversità, forse perché diverso lo è lui in prima persona, ed è un tema che ha fatto da filo conduttore per l'opera del folletto di Burbank, sin da Beetlejuice - Spiritello porcello, anche in Batman, anche quando ha raccontato la realtà, per quanto bizzarra, come in Ed Wood. Ma c'è sempre un momento in cui il diverso cerca l'integrazione, facendo quel passo verso gli altri che gli permetta di essere guardato con occhi diversi, di lasciarsi circondare dalla cosiddetta normalità. Di essere accettato, se vogliamo.

Quando ciò accade, il rischio è che il diverso perda la sua personalità, i suoi tratti distintivi, il suo essere se stesso in tutto e per tutto, a dispetto dell'opinione di chi lo osserva e stenta ad accettarlo. Il rischio è che nel fare quel passo in più per mescolarsi alla massa, non riesca a portare con sé quei tratti distintivi che lo hanno da sempre reso unico e irripetibile. E' il rischio che ha corso Tim Burton nel raccontare, nel suo ultimo lavoro Big Eyes, la storia vera di Walter e Margaret Keane, a cui non si deve solo una serie di dipinti con una spiccata caratteristica, ma un importante passo verso la mercificazione dell'arte.

Da Ed Wood a Big Eyes

Big Eyes: Amy Adams e Christoph Waltz discutono violentemente
Big Eyes: Amy Adams e Christoph Waltz discutono violentemente

C'è un elemento in comune tra Ed Wood e Big Eyes, ovvero gli autori dello script Scott Alexander e Larry Karaszewski, ma le similitudini non vanno molto oltre: se nel primo caso il regista di Edward Mani di forbice aveva tinto la sceneggiatura dei colori della sua forte personalità, diventando protagonista quanto e più del peggior regista di tutti i tempi che raccontava, più persino del Johnny Depp a cui aveva affidato il pittoresco ruolo, oggi l'autore californiano fa un passo di lato, accantonando la sua inventiva macabra e messa in scena visionaria, ponendo al centro della storia e del racconto le due figure che l'hanno animata, costruendo quello che a tutti gli effetti è un dramma familiare che analizza i complessi rapporti tra un marito e una moglie. Walter e Margaret Keane, coppia di pittori i cui dipinti che ritraevano figure di bambini dai grandi occhi sono diventati un vero fenomeno di massa tra il 1960 e il 1970. Sebbene fosse Margaret la vera autrice dei quadri, Walter si impossessò della sua arte, spacciandola per propria e sfruttando la sua capacità come venditore e le sue intuizioni commerciali per costruirci attorno un impero, varcando i confini delle gallerie d'arte e dando il via allo sfruttamento delle riproduzioni delle opere d'arte.

Cercasi Burton disperatamente

Big Eyes: Tim Burton sul set del film si occupa delle scenografie
Big Eyes: Tim Burton sul set del film si occupa delle scenografie

Se c'è un momento che è tipicamente burtoniano nel film è l'incipit, quello in cui Margaret Ulrich, prima di diventare Keane, fugge in auto con la figlia dal quartiere residenziale in cui vive col precedente marito. Sembra di vedere il quartiere di Edward Mani di forbice, con i suoi colori pastello e le sue casette perfettamente allineate e curate. E' quasi come se Burton fuggisse insieme alla donna da quel luogo che sembra strappato al suo glorioso passato. Ciò fatto, sparisce dietro la storia, si mette al suo servizio, da regista artigiano più che artista, affidandosi ad una messa in scena più classica, senza le impalcature visive a cui siamo abituati. E forse non è un caso che l'unica sua concessione ad una deriva visionaria e dark risulti la meno efficace dell'intera pellicola, nella scena in cui la Keane travolta dall'inganno in cui è intrappolata, inizia a vedere le donne al supermercato con gli stessi Big Eyes delle sue opere. Non c'è Tim Burton in Big Eyes, almeno non c'è il Tim Burton che conosciamo, nemmeno quello che aveva saputo tratteggiare con originalità, dedizione e macabra classe un'altra vita, quella del già citato Ed Wood. Per questo Big Eyes non è un grande film, o almeno non è un nuovo grande film di Tim Burton per quello che i suoi estimatori possono aspettarsi. E' però un lavoro più che discreto, che sa raccontare una vicenda che ha i suoi punti di interesse, non rinunciando ad usarla come veicolo per alcuni messaggi chiari ed importanti.

L'insegnamento della storia

Big Eyes: Amy Adams nei panni dell'artista Margaret Keane in una scena del film
Big Eyes: Amy Adams nei panni dell'artista Margaret Keane in una scena del film

E' chiara fin dai titoli di testa l'enfasi che Burton ha scelto di dare alla storia, ponendo l'accento sulla mercificazione dell'arte lasciando scorrere la sua camera sui macchinari intenti a stampare copie su copie dei celebri dipinti dagli occhi grandi della Keane. Più volte, nel corso della pellicola, l'autore sottolinea questo aspetto e si chiede cosa sia realmente l'arte, interrogandosi anche su chi abbia il diritto ed il compito di deciderlo, richiamando le domande che già si era posto, insieme ai suoi sceneggiatori, in Ed Wood, spostando allo stesso tempo sui Keane una riflessione applicabile anche alla sua opera nel chiedersi se l'apprezzamento da parte del grande pubblico la renda automaticamente di scarso valore. Non è però l'unica riflessione che accompagna il racconto della relazione privata e commerciale tra i due Keane, che con il loro dramma sono anima e corpo di Big Eyes: il regista li usa anche come mezzo per raccontare il matrimonio e le relazioni interpersonali, alla vigilia della fine della sua storia con Helena Bonham Carter, nonché la figura della donna nel periodo storico che fa da sfondo alla vicenda grazie all'intensa prova di Amy Adams nel dar vita ad una figura complessa e realistica con le sue fragilità ed il suo estro artistico, contrapposta al ritratto eccessivo e sopra le righe che il compagno di scena Christoph Waltz dà del marito dell'artista. Un intento, quest'ultimo, che trova la sua giusta dimensione nell'approccio da dramma familiare e vacilla soltanto verso il finale, quando la messa in scena del processo sembra far virare Big Eyes dalla direzione sicura che aveva intrapreso. Ma è una parentesi che chiude presto, lasciando spazio ad un segmento finale che racconta con intensità l'epilogo della storia tra Walter e Margaret.

Movieplayer.it

3.5/5