Recensione Skellig (2009)

Fiaba oscura e gotica, che affronta argomenti scomodi e dolorosi con delicatezza e sensibilità, Skellig è impreziosito dall'interpretazione di Tim Roth nelle sembianze di una creatura alata bizzarra e misteriosa.

Angeli o demoni?

Chi è Skellig? Un demone, o forse un angelo? Probabilmente è una creatura che sta nel mezzo, "in between", come suggerisce la perspicace Mina, amichetta del piccolo Michael, il protagonista di questa favola moderna dalle atmosfere dark. Gran parte del fascino del tormentato e oscuro personaggio di Skellig, interpretato con audacia dall'istrionico Tim Roth, sta proprio nella sua ambiguità, nell'essere al tempo stesso un'entità della luce e delle tenebre.

Individuo dalle sembianze mostruose e chimeriche, le cui fattezze alate rimandano a un ricco campionario di figure fantastiche e mitiche, dall'angelo caduto di William Blake (esplicitamente citato nel film) alle gorgoni gotiche, da San Michele a Lucifero. Creatura liminare, al confine tra due mondi, che forse proprio per questo si scopre in seguito dotata di poteri straordinari. Ma anche un "diverso", rinnegato dalla società che vive un'esistenza di isolamento e abbandono. Ed è in questo stato che lo trova Michael - appena trasferitosi in una nuova casa con la sua famiglia - curiosando in una vecchia baracca abbandonata. Nonostante l'aspetto ripugnante, le battute ciniche e i modi decisamente bruschi di Skellig, il ragazzino sviluppa subito una forte empatia per questa sorta di strambo barbone che ama il cibo cinese e la birra scura (da lui definita "nettare degli dei"). Forse perché anche Micheal, timido e introverso, si sente differente dagli altri e, dopo la prematura nascita della sorellina, ancora più solo e trascurato dai genitori. Si instaura così un rapporto stranamente simbiotico tra due individui che sembrano non aver ancora trovato un proprio spazio nel mondo. Michael, grazie anche alla complicità dell'amica Mina, riesce pian piano a scalfire la coriacea scorza che - letteralmente - imprigiona Skellig, facendogli riacquistare l'amore per la vita. Il bizzarro essere alato ricambierà il dono, infondendo il proprio rinvigorito soffio vitale a una piccola creatura appena nata, la sorellina di Michael.

Tratto dal pluripremiato racconto omonimo di David Almond, considerato in Gran Bretagna un classico per l'infanzia, Skellig si nutre di tutte le atmosfere gotiche che permeano la tradizione letteraria e cinematografica anglosassone e le rielabora sottoforma di apologo per le giovani generazioni. L'universo narrativo si sviluppa per forze binarie e nettamente contrapposte - morte e (ri)nascita, luce e oscurità, precipizio e redenzione, mondo naturale e artificiale - ma che si riconciliano in un unico inno finale alla speranza e alla vita. La giovane regista Annabel Jankel, qui al suo esordio su grande schermo (in passato aveva solamente collaborato assieme al compagno Rocky Morton alla regia di D. O. A. e Super Mario Bros.), opta per uno stile che coniuga una fredda rappresentazione realistica con lampi di improvvisa furia immaginativa. Focalizzandosi su piccoli dettagli del mondo naturale (uccelli, insetti, lo sbocciare di fiori e funghi), e sfruttando una fotografia sovraesposta, riesce a ricreare un'atmosfera sospesa e favolistica. Certo, non tutto è perfetto, e il film sconta qualche ingenuità di troppo e un'eccessiva ricerca della commozione nel finale, ma si tratta di difetti tutto sommato perdonabili dato il target adolescenziale di riferimento.
In definitiva ne viene fuori una fiaba oscura e moderna, che non ha paura di affrontare il lato tragico dell'esistenza e che si rivolge a ragazzi già maturi e consapevoli, oppure ad adulti capaci ancora di farsi trasportare in una misteriosa terra "di mezzo", dove sfrenata immaginazione e crudo realismo finiscono per toccarsi e confondersi.