American Fiction, recensione del film con Jeffrey Wright candidato all'Oscar

La recensione di American Fiction, film di Cord Jefferson con un ottimo Jeffrey Wright, candidato al premio Oscar, nel ruolo di Thelonious "Monk" Ellison, scrittore intellettuale che scrive per scherzo un libro spazzatura, accolto dal pubblico come la rivelazione dell'anno. Su Prime Video.

American Fiction, recensione del film con Jeffrey Wright candidato all'Oscar

Indignarsi, di questi tempi, è una vera e propria professione. Ogni giorno si aspetta il passo falso di qualcuno per criticarlo, condannarlo, esporlo alla gogna mediatica e riempire quotidiani e social. Per poi passare a un nuovo caso e una nuova indignazione il giorno successivo. Per chi la pensa diversamente il terreno è scivoloso: da una parte infatti ci sono spesso gli attivisti da Instagram, che pensano di cambiare il mondo una slide fatta su Canva alla volta, in genere scollegati dalla realtà, sempre chiusi nei loro circoli da intellettuali che combattono per le minoranze facendo dirette dal loro loft costosissimo ai Navigli. Dall'altra c'è la controparte che va avanti a suon di "non si può più dire niente", "basta con il politicamente corretto", "questa è propaganda woke" e simili, dimostrando di non sapere nemmeno quale sia il giusto significato di "politicamente corretto". Lo scrittore Thelonious "Monk" Ellison si trova in mezzo a questi due estremi, che andiamo ad approfondire nella recensione di American Fiction, film di Cord Jefferson candidato a cinque premi Oscar.

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American Fiction: un'immagine di Jeffrey Wright

In streaming su Prime Video dal 27 febbraio, American Fiction è la storia di un autore, dicevamo, che ha pubblicato diversi romanzi rispettati ma di poco successo, attività che alterna all'insegnamento universitario. I suoi metodi sono percepiti come troppo trasgressivi: nonostante sia nero, una sua studentessa, bianca, vuole insegnarli come dovrebbe sentirsi di fronte a parole offensive che insultano la sua razza. Il pensiero critico che prova a esercitare è, a quanto pare, qualcosa di osceno. E anche i suoi editori sembrano volergli insegnare come scrivere: il suo ultimo romanzo viene infatti rifiutato perché non è "abbastanza nero".

Contemporaneamente una nuova autrice emergente, Sintara Golden (Issa Rae), sta scalando le classifiche con un romanzo dal titolo We's Lives in Da Ghetto, che banalizza la storia degli afroamericani, facendoli parlare in modo stereotipato ed esagerato. Ma che ai bianchi piace tanto. Esasperato e costretto dal rettore a prendersi un congedo dall'insegnamento, Monk torna a casa, a Boston, dove c'è la sua famiglia. Qui, oltre a dover affrontare diversi drammi personali, scrive per scherzo, sotto pseudonimo, un libro in cui fa la parodia di come i bianchi vedono gli afroamericani, intitolato My Pafology. E, suo malgrado, diventa un caso letterario.

La trama di American Fiction: tra dramma e commedia

La trama di American Fiction parte con uno spunto molto intelligente: non importa quanto si cerchi di parlare di certi temi in modo aperto e rispettoso, il punto di vista che conta è sempre quello della categoria al potere. E chi è al potere non ci pensa proprio a perdere anche solo una minima parte dei propri privilegi: al massimo vuole sentirsi buona e soprattutto assolta. In questo senso è più facile parlare di neri, omosessuali, donne in difficoltà o qualsiasi altra "minoranza" come delle vittime: in questo modo c'è sempre una differenza tra "noi" e "loro".

Monk non ci sta: perché non può scrivere una storia senza drammi come qualsiasi altro autore bianco? Perché i suoi romanzi devono finire nella sezione "scrittori neri" o "studi afroamericani"? Lui stesso è cresciuto in una famiglia benestante, si è laureato, ha dei fratelli che sono diventati dottori: lo stereotipo del nero criminale o povero è molto lontano dal suo vissuto. Eppure sembra proprio che la società non voglia ammettere che persone come lui esistano, soprattutto quando si parla di storie, scrittura e rappresentazione.

Ispirato al romanzo Erasure di Percival Everett, il film critica il mondo letterario, televisivo (non mancano stoccatine ai club del libro in stile Oprah's Book Club) e cinematografico (Hollywood vuole immediatamente mettere le mani sul romanzo per farne un film) che pretendono di sapere quale debba essere l'esperienza afroamericana contemporanea senza rispettare gli autori, costretti ad amalgamarsi a uno stereotipo.

Jeffery Wright da Oscar

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American Fiction: Jeffrey Wright in una foto

A inframmezzare questa satira pungente, ci sono le vicende personali del protagonista: la madre si ammala, un trauma mai superato legato al padre riemerge e non mancano confronti duri con i fratelli. Si aggiunge anche la relazione complicata con la vicina di casa, Coraline (Erika Alexander), avvocata neo separata che apprezza non soltanto Monk, ma anche i suoi libri. La parte familiare forse prende troppo il sopravvento, ma a tenere tutto insieme è l'eccellente interpretazione di Jeffery Wright nel ruolo del protagonista, nominato anche lui all'Oscar. La sua capacità di muovere impercettibilmente un sopracciglio e dare nuove sfumature al personaggio è notevolissima. Con un po' più di equilibrio tra satira sociale e dramma privato American Fiction sarebbe stato un film molto più incisivo, ma resta comunque un'ottima visione, da godere per scrittura e interpretazioni.

Conclusioni

Come scritto nella recensione di American Fiction, il film di Cord Jefferson si ispira al romanzo Erasure di Percival Everett, che racconta la storia di Thelonious "Monk" Ellison, autore rispettato ma che vende poco, che, per scherzo, scrive un romanzo che racconta in modo stereotipato ed esagerato la vita degli afroamericani. Quando questa sua parodia, pubblicata sotto pseudonimo, diventa un caso letterario, deve affrontare il mercato letterario di oggi e l'idea che i lettori hanno degli scrittori neri.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
4.2/5

Perché ci piace

  • L'interpretazione di Jeffrey Wright nel ruolo del protagonista.
  • Lo spunto iniziale, molto intelligente.
  • Il resto del cast.

Cosa non va

  • La parte di satira è alternata a una familiare un po' invadente, che distoglie l'attenzione dallo spunto più originale della pellicola e rallenta il ritmo.