Recensione Ju tarramutu (2010)

La vera rivoluzione operata da Pisanelli nel suo documentario è la scelta di far parlare liberamente gli aquilani. Al silenzio che domina sulle macerie di quella che, da due anni a questa parte è diventata una città fantasma, si contrappongono le voci di coloro che rifiutano questo stato di cose e che lottano per riprendere possesso della propria città.

Riprendiamoci L'Aquila

Il 6 aprile 2009 il mondo a L'Aquila si ferma nello stesso momento in cui tutto inizia a tremare fragorosamente. Un terremoto di magnitudo pari a 5,9 della Scala Richter alle tre e mezzo di notte distrugge il capoluogo abruzzese causando più di 300 vittime, migliaia di feriti e danni incalcolabili a uno dei centri storici più antichi e affascinanti d'Italia. Il regista Paolo Pisanelli percepisce la scossa dalla sua casa romana in cui le pareti tremano e gli oggetti cadono a terra e, dopo essere venuto al corrente della reale entità della catastrofe, si imbarca in un viaggio iniziato il giorno stesso del sisma e durato 15 mesi tra le macerie e gli aquilani costretti ad abbandonare le proprie case e a rifugiarsi nelle tendopoli allestite dalla Protezione civile. Nel documentario Ju tarramutu, Pisanelli, pugliese di nascita, ma profondo conoscitore del mondo abruzzese, fotografa impietosamente tutte le fasi post-sisma mostrando senza remore le varie facce della medaglia - le promesse del governo, la discussa visita di Berlusconi a L'Aquila a poche ore dal terremoto, l'intervento della Protezione civile, la vita nelle tendopoli, la consegna in pompa magna delle prime abitazioni prefabbricate del progetto C.A.S.E., la mancata ricostruzione del centro storico sfociata nella protesta delle carriole e i lenti tentativi di ritorno alla normalità - dando voce agli abitanti de L'Aquila. Quella voce che è mancata al momento di scegliere come gestire la ricostruzione visto che il governo ha stabilito modi, tempi e forme di intervento senza interpellare gli aquilani, trasformando il capoluogo abruzzese in un circo mediatico, oggetto dell'attenzione del mondo, eleggendolo a sede del G8 - trasferito in fretta e furia dalla Maddalena - escludendo, però, la gente dalle scelte che riguardavano il futuro della città.


I veri protagonisti di Ju tarramutu sono gli aquilani. Sono coloro che hanno pagato sulla propria pelle le conseguenze del terremoto a descrivere, con il loro accento ruvido e le facce stravolte dal dramma, la durezza di un inverno passato in tenda, a mostrare la propria gratitudine o il proprio dissenso verso i metodi propagandistici con cui è stata accompagnata la consegna delle nuove case che ha "temporaneamente" sostituito le dimore in pietra semidistrutte, a testimoniare il proprio rifiuto opponendosi al trasferimento negli hotel litoranei a spese del governo o a rimboccarsi le maniche prendendo in mano secchi e carriole per ripulire il centro storico dalle macerie contravvenendo alle disposizioni delle autorità locali. Con sguardo lucido, ma senza il violento stile requisitorio di Sabina Guzzanti, Pisanelli punta il dito contro i molteplici interessi concentratisi nell'area colpita dalla catastrofe naturale, denuncia la voracità dei titolari degli appalti per la ricostruzione e il violento impatto ambientale del Progetto C.A.S.E. che ha sconvolto senza alcuna pianificazione un territorio ricco di bellezze naturali e architettoniche.

Non mancano riferimenti a quegli episodi poco felici che, tra una barzelletta tra le macerie e un ammiccamento alla bella donna di turno da parte del capo del governo, hanno conquistato le prime pagine dei giornali e, di lì a poco, le aule dei tribunali portando alla luce ancora una volta il malcostume italico e la fitta rete di legami tra politica, economia e criminalità che da sempre paralizza il nostro paese, ma la vera rivoluzione operata da Pisanelli nel suo documentario è la scelta di far parlare liberamente gli aquilani. Al silenzio che domina sulle macerie di quella che, da due anni a questa parte è diventata una città fantasma, si contrappongono le voci di coloro che si rifiutano questo stato di cose e che lottano per riprendere possesso della propria città urlando la propria rabbia contro gli sprechi, contro i ritardi, contro le speculazioni politiche ed economiche, ma anche trasformando le macerie in un teatro da cui diffondere la propria musica, anch'essa espressione di un popolo che non si rassegna a vedere L'Aquila ridotta a un cumulo di pietre e calcinacci.

Movieplayer.it

3.0/5