Recensione Dylan Dog - Il film (2010)

L'unico modo, per approcciarsi alla versione cinematografica di Dylan Dog, è quella di sospendere ogni possibile giudizio su un eventuale accostamento tra fumetto e film. Dylan Dog - Il film, va, semmai accostato piuttosto alla recente moda degli horror adolescenziali, in cui la componente orrorifica è spesso amalgamata con altri elementi, come la componente umoristica e pop.

Dylan l'ammazzavampiri

"Chi è Sclavi?": si tratta di un interrogativo che a un certo punto risuona all'interno di Dylan Dog - Il film, trasposizione americana di quello che è, molto probabilmente, dopo Tex Willer e Diabolik il rappresentante più iconico e popolare del fumetto italiano. Gli sceneggiatori statunitensi, infatti, con molto senso dell'ironia, hanno deciso di affibbiare il nome Sclavi anche a un personaggio di questa storia cinematografica. Per la precisione, si tratta di un venerando vampiro, vestito un po' come il classico Dracula di Christopher Lee che - disturbato da un suo sonno millenario proprio da Dylan Dog alias Brandon Routh - si contorce inquieto nella sua tomba. Non potrebbe esserci, con ogni probabilità, una metafora più eloquente per rendere il problematico rapporto instauratosi tra il personaggio originale nato dall'immaginazione di Tiziano Sclavi e questa versione hollywoodiana, realizzata dal regista Kevin Munroe. Un rapporto complicato dall'estrema difficoltà che presenta una fedele traduzione delle avventure su grande schermo dell'immaginifico Indagatore dell'incubo. Problematiche legata in primo luogo a questioni di diritti d'autore, che hanno reso impossibile fare riferimento ad alcuni elementi essenziali con cui da sempre i fan identificano Dylan Dog: l'immancabile aiutante Groucho e il fedele Maggiolone bianco guidato dal nostro eroe, ne sono gli esempi più evidenti.


L'unico modo, allora, per approcciarsi alla versione cinematografica di Dylan Dog, è quella di sospendere ogni possibile giudizio su un eventuale accostamento tra fumetto e film, che risultano per forza di cose inconciliabili. Lasciatesi alle spalle le rivendicazioni da fan intransigenti e puristi, è forse possibile analizzare con il giusto distacco l'opera di Munroe, che si cimenta alla prima regia live action dopo l'animato TMNT. Nonostante, infatti, il regista si dichiari un appassionato delle storie pubblicate negli storici albi targati Sergio Bonelli, e tenti di disseminare il più possibile riferimenti interni relativi alla serie a fumetti originale (basti guardare l'introduzione del film, in cui appaiono delle immagini che rimandano ai personaggi di Groucho e Bloch, oltre che ad alcuni oggetti, come il clarinetto e il galeone incompleto, che i fan ben conoscono) Dylan Dog - Il film va, inevitabilmente, considerato come un prodotto a sé stante, ispirato piuttosto alla versione americana del fumetto realizzata dalla casa editrice Dark Horse.
Trasposta l'ambientazione dalla plumbea Londra alla oscura New Orleans, abbassata l'età del protagonista, qui incarnato da un muscoloso e prestante Brandon Routh, sostituito Groucho con l'amico zombie Marcus, elaborata una storia che non ha legami con le vicende dei volumi bonelliani, è palese infatti come dell'inquieta e tormenta figura di Sclavi rimanga ormai ben poco.

Dylan Dog - Il film, va, semmai accostato piuttosto alla recente moda degli horror adolescenziali, in cui la dimensione orrorifica è spesso amalgamata con altri elementi, come la componente umoristica, oppure sentimentale (vedi la saga romantica di Twilight). Da questo punto di vista, il film si presenta piuttosto come una commedia dai torni dark, accostabile a molte pellicole giovanili degli anni Ottanta e Novanta, che si propongono soprattutto come parodia dei classici film di mostri con protagonisti vampiri o zombie. Così è Dylan Dog - Il film, che si caratterizza per un approccio scanzonato e autoironico, molto diverso dai tormenti e dalle inquietudini delle tavole disegnate. Il paragone più giusto, è forse, quello delle serie televisive pop di Joss Whedon, Buffy - L'ammazzavampiri e Angel, in cui l'atmosfera horror è in realtà un pretesto per intavolare una riflessione sull'adolescenza. Anche nella sceneggiatura di Dylan Dog - Il film, infatti, i mostri sono utilizzati piuttosto per inquadrare delle tipologie sociali: lupi mannari ritratti come irruenti boss mafiosi, vampiri emo che spacciano il loro sangue ad adolescenti drogati, oppure zombie imbranati che frequentano comunità di recupero.

Inquadrato come una sorta di commedia pop, oppure come una specie di rivisitazione parodistica degli stereotipi horror, il film acquista già un'altra luce. Tuttavia, anche da questo punto di vista, non tutto è perfetto. Il problema più grosso di Dylan Dog - Il film sta proprio nel soggetto di partenza e nell'elaborazione della sceneggiatura (che probabilmente riflette i problemi dovuti a molteplici riscritture intraprese nel corso di oltre otto anni di gestazione del progetto). Il canovaccio riprende la struttura narrativa tipica della detective story, in cui Dylan, che ha rinunciato in seguito a un trauma alla sua professione di indagatore dell'incubo, è costretto a rivestire i panni di investigatore dell'occulto per scoprire cosa si cela dietro la morte del padre di una ragazza. Ma lo sviluppo si rivela ben presto alquanto prevedibile, e anche la costruzione dei dialoghi (soprattutto nel rapporto tra il protagonista Dylan e la sua spalla comica Marcus) è modellata su stereotipi fin troppo abusati. L'espressione impassibile di Brandon Routh, perfetta per il granitico Superman, qui invece non aiuta a conferire al personaggio una complessità che vada al di là del semplice action man, più incline alle scazzottate con i mostri che alla riflessione.

In conclusione, nonostante Kevin Munroe dimostri di conoscere abbastanza bene l'universo fumettistico e cerchi per quanto possibile di non rinunciare del tutto alle atmosfere umbratili del personaggio originale, Dylan Dog - Il film risulta fin troppo inficiato dalle traversie e dalle difficoltose condizioni produttive che hanno impedito al progetto di dispiegare tutte le sue intrinseche potenzialità.