Recensione Vampire (2011)

Presentato a Berlino nella sezione Panorama l'esordio americano del regista giapponese Shunji Iwai.

Vampiro senza denti

Da Berlino a Berlino. Sembra ruotare intorno al festival tedesco l'attività da regista di Shunji Iwai, di ritorno alla Berlinale con Vampire dopo aver portato nel 2005 Hana and Alice, il suo ultimo lavoro precedente, se escludiamo un episodio di New York, I Love You ed il documentario su Kon Ichikawa. Un intervallo di tempo di 6 anni per due film molto diversi tra loro: produzione giapponese e per ragazzi il primo, americana e cupa per il secondo.
Vampire è infatti la prima produzione mada in USA dell'autore giapponese, per un film che, presentato già al Sundance, vuole raccontare di un uomo che prende il sangue ad aspiranti suicide, uccidendole di fatto per dissanguamento.

A vestire i panni di questo vampiro, puramente simbolico e poco incisivo anche in tempi post-Twilight, troviamo Kevin Zegers, affiancato nei ruoli delle vittime da una serie di volti più o meno noti, da Keisha Castle-Hughes ad Adelaide Clemens, Kristin Kreuk e Yu Aoi, mentre completa il cast Amanda Plummer, forse la più efficace nel dare il volto alla madre malata di alzeimer del protagonista. Le loro sono interpretazioni che non riescono ad incidere, ma soprattutto a causa dei dialoghi che sono chiamati a recitare.

Il regista, infatti, dedica tutto sè stesso al progetto, ricoprendo da solo più di un ruolo nella fase produttiva, ma rivelando le pecche maggiori in una di quelle basilari: la sceneggiatura. E' forse la sua origine non americana a tradire l'autore, non a suo agio a scrivere i dialoghi in lingua inglese del film, ma soprattutto a centrare il mood ed il contesto americano della storia. Alcuni momenti danno l'impressione di essere fuori luogo e viene da chiedersi se in un'ambientazione e con interpreti (e lingua) giapponesi sarebbero potuti risultare più credibili.

Non è purtroppo l'unico difetto del film: Iwai osa anche nella regia, posizionando la sua macchina da presa in posizioni inutilmente azzardate che non riescono a servire la storia che sta raccontando. Inoltre cerca di infarcire la storia con riferimenti al mondo online (il protagonista "recluta" le potenziali suicide su un sito dedicato), un paio di sottostorie soltanto abbozzate, oltre a simboli e metafore che restano solo accennati.
E' pur vero anche alcuni dei momenti tra il "vampiro" Simon e le sue vittime hanno la giusta dose di tenera complicità, apparendo convincenti e d'atmosfera, ma non riescono a rendere riuscito Vampire. E' un peccato perchè abbiamo visto scelte più efficaci in altri lavori del regista ed aspettiamo di vederlo alla prova con un nuovo lavoro su territorio americano.

Movieplayer.it

2.0/5