Recensione L'orso Yoghi (2010)

Rimodernato nell'aspetto, grazie alla computer grafica e al 3d, ma non nell'essenza, l'orso Yoghi dovrà stavolta affrontare problemi più grandi dell'approvvigionamento di cibo: la chiusura del parco di Jellystone.

Nostalgia di Jellystone

E' difficile non apprezzare ciò che ci è familiare. Le vecchie, oneste cose di una volta, a cui siamo abituati da una vita, riescono sempre a rassicurarci, a instillare in noi la confortante consapevolezza che, se qualcosa rimane uguale a ciò che è sempre stata, allora non tutto è destinato a peggiorare. E l'orso Yoghi rimane uguale a sé stesso dal 1958: generazioni di bambini sono state testimoni dei suoi rocamboleschi e ingegnosi tentativi di procacciarsi il succulento cibo umano, combattuti con sempre immutata perseveranza dal ranger Smith. Per la seconda volta nella sua onorata carriera, l'orso bruno di Jellystone ha varcato il confine della serie animata per diventare protagonista di un lungometraggio, stavolta orfano dei suoi creatori William Hanna e Joseph Barbera, ma attrezzato con i più moderni ritrovati tecnologici.


Abbandonati matite e fogli da disegno, il nuovo Yoghi è qui realizzato in computer grafica e si trova ad interagire con comprimari umani in carne e ossa e un'ambientazione realistica; come ormai inevitabile per ogni film destinato al pubblico più giovane, inoltre, L'orso Yoghi si fregia della tecnologia stereoscopica. Questo upgrade tecnico, per quanto necessario a rendere più accattivante visivamente la pellicola alle ormai smaliziatissime nuove generazioni, non offre però risultati ineccepibili: il nuovo design degli orsi non brilla né per
simpatia né per originalità, e molto di più si poteva fare in termini di animazione e modellazione dei personaggi. Ancora una volta, la presenza del 3D si rivela del tutto superflua, realizzata in maniera tecnicamente mediocre e non giustificata da una sceneggiatura che le offre scarse occasioni per essere sfruttata.

Più che sulle peripezie di Yoghi e Bubu, sempre a caccia della maniera più spettacolare per portare scompiglio tra gli incauti turisti, la trama si concentra sulle vicende umane: l'ambizioso e arrivista sindaco della città vuole infatti trasformare il parco di Jellystone in terreno agricolo onde spianare la propria elezione a governatore, e troverà nel ranger Smith e nella documentarista Rachel due acerrimi oppositori. Ovviamente anche i due orsi saranno coinvolti nell'impresa, a prima vista disperata, di preservare l'ambiente naturale che, nel loro specifico caso, coincide con un'inesauribile fonte di sostentamento e sollazzo. Ma sembra che gli sceneggiatori non si siano voluti impegnare più dello stretto indispensabile sui due amici, che si limitano a ricalcare pedissequamente l'immagine che ci eravamo già costruiti di loro. Il rispetto per le storiche peculiarità dei protagonisti era certamente d'obbligo, ma uno sforzo immaginativo che andasse oltre il mero compitino valeva comunque la pena di essere tentato. A maggior ragione perché sulla componente umana del cast è stato invece fatto un lavoro

discreto: seppur in maniera caricaturale e anche un po' scontata, tanto i buoni quanto i cattivi risultano caratterizzati con ironia, e contribuiscono, per quanto in maniera molto elementare, a veicolare messaggi sempre importanti come il rispetto per l'ambiente e il valore dell'amicizia e della collaborazione.

L'orso Yoghi difficilmente potrà offrire occasioni di autentico divertimento allo spettatore ormai definitivamente uscito dall'età infantile, complice l'abuso di un repertorio di gag fin troppo collaudato. Ma è anche vero che è un film onesto, che non pretende di rivoluzionare il genere e non si dà arie da grande innovatore, come se per primo avesse fatto propria la conclusione a cui arrivano i suoi protagonisti: a volte, è solo assecondando la propria natura, per quanto prevedibile e limitata sia, che si possono raggiungere gli obiettivi che ci si è posti.

Movieplayer.it

2.0/5