Recensione Ti presento un amico (2010)

Prendiamo atto della comprensibile voglia di virare sulla "sophisticated comedy", abbandonando i territori della farsa volgare. Vale la pena, però, chiedersi se per fregiarsi del prestigioso titolo di commedia sofisticata basti ambientare un racconto retrivo nelle stanze di un albergo a 5 stelle o in appartamenti iper accessoriati della City.

Il più bello del reame

E' ufficiale: la crisi c'è e colpisce anche il solido rapporto tra Marco, manager italiano che lavora a Londra per una multinazionale dei cosmetici, e la sua fidanzata, fresca fresca di licenziamento. La ragazza non trova di meglio che tornare in Italia dal suo ex, per sposarlo e conquistare l'agognato posto fisso. Solo e disperato, pronto alla più terribile delle evenienze, Marco viene richiamato a Milano dal grande capo in persona e con grande sorpresa scopre di aver ottenuto un avanzamento di ruolo. Per rilanciare l'azienda dovrà licenziare un buon numero di impiegati. Accetta di buon grado l'offerta, salvo scatenare le ire di Giulia, impiegata modello che ambiva al ruolo dell'uomo. E' solo la prima delle tante donne a cui farà girare la testa, tutte bellissime e tutte in crisi con i rispettivi fidanzati. Dopo Giulia, che decide di cedere al fascino da galantuomo del suo boss, arrivano Sarah, una gallerista focosa e superstiziosa, Gabriella, giornalista televisiva specializzata in fotocopie e Francesca, impiegata dal curriculum perfetto. Dotato di faccia tosta e di sguardo magnetico, Marco se la cava alla grande, anche quando perde tutta la posta in gioco.


Ci vuole una notevole predisposizione d'animo per vedere il nuovo film di Carlo Vanzina, Ti presento un amico, sceneggiato assieme al fratello Enrico e a Francesco Massaro. A lasciare interdetti non è tanto la sciatteria, anzi, tutto quello che solo lontanamente potrebbe essere considerato brutto viene fatto fuori (dalle case, ai protagonisti, un gruppo di attori capitanato da Raoul Bova che annovera anche Barbora Bobulova, Martina Stella e Kelly Reilly), quanto la piattezza totale della storia, lo spessore dei personaggi, vicino allo zero, le considerazioni sulla vita che avranno pure una minima ragion d'essere, ma lasciano trasparire ben poca profondità ("oggi la bastonata è globale", dice Bova davanti al conto salato del ristorante milanese, oppure "seguire voi è meglio di una fiction, è lo zapping della vita" azzarda il tassista che scarrozza il protagonista da un'avventura sentimentale all'altra per tutta la città). Si procede quindi per luoghi comuni, con laccatissime panoramiche cittadine, seguendo l'onda di una storia che sembra ripresa dall'antico giudizio di Paride: quale sarà la donna scelta dal più bello del reame, per condividere una vita di lussuosi stenti all'ombra del Big Ben? In epoche ben più remote l'interrogativo scatenò una guerra dagli esiti nefasti, in questo caso esplode solo una grande bolla di sapone.

Prendiamo atto della comprensibile voglia di virare sulla "sophisticated comedy", abbandonando i territori (ultimamente sempre più affollati) della farsa volgare. Vale la pena, però, chiedersi se per fregiarsi del prestigioso titolo di commedia sofisticata basti ambientare un racconto retrivo nelle stanze di un albergo a 5 stelle o in appartamenti iper accessoriati della City; o, al contrario, se volgare sia lanciare messaggi come "sposo il mio ex perché ora c'è la crisi, quindi faccio la moglie", o dipingere donne-virago, mantidi religiose che sfruttano gli uomini e li lasciano, ma poi li riprendono perché "l'orologio biologico galoppa" e cresce la voglia di diventare mamma. Certo che esistono donne così, che la realtà del nostro Paese non è edificante, ma svuotarla del significato più complesso, per restituirne solo l'aspetto più appetibile, facilmente fruibile da un pubblico ormai abbondantemente abituato a certe immagini, è volgare quanto una scurrilità gratuita. Il risultato dell'intera operazione, quindi, somiglia piuttosto ad un gigantesco spostamento della polvere sotto il tappeto. Persiano, ovviamente.

Movieplayer.it

2.0/5