Recensione Quartier Lointain (2010)

E' un "tornare indietro" diverso quello che propone Sam Garbarski nel suo Quartier Lointain - In una città lontana; non ci sono magie, né incantesimi nella vicenda di un cinquantenne alla deriva che sembra aver perso ogni slancio affettivo; l'autore transalpino trasforma il fumetto di Jiro Tanaguchi in un racconto sul tempo di ampio respiro.

Gli anni in tasca (di nuovo)

Thomas è un disegnatore di fumetti che non ha molto da chiedere alla vita. Su di lui c'è tutto il peso di una fama ormai sbiadita. Moglie e figlie lo guardano distanti. Dopo un incontro col pubblico che gli ha lasciato l'amaro in bocca, Thomas prende il treno sbagliato e invece di tornare a Parigi si ritrova nella città natale, abbandonata anni prima dopo l'inspiegabile fuga del padre e la morte della madre. Colto da un malore, o forse semplicemente addormentatosi, l'uomo si ritrova nel 1967 nel suo corpo di quattordicenne. Sono i giorni che precedono l'abbandono del papà. E' l'occasione giusta per tentare di sanare quello strappo, per dichiarare l'amore a quella ragazzina che lo avrebbe inconsciamente accompagnato per tutta la vita. Per togliere potere ai fantasmi del passato.

E' un "tornare indietro" diverso quello che propone il regista tedesco Sam Garbarski nel suo Quartier Lointain, presentato in concorso al Festival Internazionale del Film di Roma, nella sezione Alice nella città; non ci sono magie, né incantesimi nella vicenda di questo cinquantenne alla deriva che sembra aver perso ogni slancio affettivo. Si ritrova passeggiando per le strade della sua vecchia città, in quel panorama che ricorda la Thiers degli Anni in tasca di Francois Truffaut, un guscio protettivo con case messe in ordine da operose casalinghe e guidate da papà dalle grandi mani. La realtà non poteva certo essere (solo) quella. Dilatando i tempi della narrazione, Garbarski regala un tocco di grazia ad una vicenda che non riconda lontanamente i classici "what if movie" (o i viaggi nel tempo alla Ritorno al futuro).

L'autore teutonico si addentra nei territori sconosciuti di una nuova nascita, un ritorno alla vita, quello del protagonista, che ha tutto il gusto del primo amore (la vezzosa ragazzina Laura Martin) e il dolore per l'abbandono di un padre che non viene perdonato per quello che ha fatto, ma semplicemente "superato" da una scelta diversa (forse il momento più onirico è proprio il fortuito incontro finale fra il Thomas tornato adulto ed un vecchio che potrebbe essere il suo anziano genitore).

L'adolescenza (con la musica pop americana, i film di Bunuel al cinema e le vittorie di Felice Gimondi al Giro d'Italia) diventa quindi il luogo del cuore, delle scelte, dei drammi affrontati con una maturità figlia di un presente tormentato, inquadrato dalle immagini delle tavole del Thomas adulto, perfette, ma quasi senza vita, sostanzialmente diverse dagli schizzi fatti sui quaderni di scuola. E' a questo sfasamento fra attualità, passato e futuro che l'autore affida i momenti più leggeri del film, quando ad esempio Thomas racconta alla sorellina del primo uomo sulla Luna o del muro di Berlino che sarebbe caduto qualche anno dopo.

Il fumetto è la fonte d'ispirazione primaria per Garbarski che ha voluto esaltare proprio l'aspetto poetico e raffinato delle tavole di Jiro Taniguchi, autore di Harukana machi e, l'albo da cui il film è stato tratto; tuttavia il regista non ha ceduto al fascino del graphic novel, rimodellando in maniera creativa il materiale a disposizione, con qualche aggiustamento sulla trama per renderlo "cinematografico". Il risultato è un racconto sul tempo di ampio respiro, capace di dare freschezza all'ennesima variazione sul tema del "butterfly effect". Ottima l'interpretazione del cast di attori su cui spiccano le prove di Léo Legrand, che veste i panni del giovane Thomas, e di Alexandra Maria Lara e Jonathan Zaccai (i due genitori del protagonista). Al volto scavato di Pascal Greggory, invece, il compito di raccontare il dolore del Thomas adulto. Efficace la colonna sonora degli Air che con le loro musiche ipnotiche e anacronistiche rispetto al racconto ambientato negli anni '60, trasportano il film in uno spazio da favola. Senza mostri, né draghi che sputano fuoco.

Movieplayer.it

3.0/5