Affari di famiglia: Marco Bellocchio presenta Sorelle Mai a Venezia

Marco e Pier Giorgio Bellocchio approdano sul Lido per ricordare l'importanza degli affetti con un piccolo film sperimentale.

Sorelle Mai è un piccolo film familiare frutto di un esperimento che ogni anno si ripete a Bobbio, città natale di Marco Bellocchio, un laboratorio cinematografico da cui sono nati i singoli episodi che compongono il film. Le prime tre parti erano già state presentate in prcedenza al Festival Internazionale del Film di Roma sotto il titolo Sorelle. Successivamente sono stati girati altri tre episodi e il film ha acquisito la sua forma definitiva. Bellocchio presenta il film in un incontro con la stampa veneziana a cui partecipa anche il figlio Pier Giorgio Bellocchio, uno dei personaggi presenti in Sorelle Mai.

Il film racconta la storia di una famiglia attraverso gli anni. Puoi parlarci dell'idea alla base del progetto?

Marco Bellocchio: Il senso del tempo che scorre è essenziale per il mio film, composto da episodi singoli realizzati da sei diversi gruppi di persone. Vi sono personaggi che crescono e cambiano e personaggi che restano immutati. Volevo raccontare la storia di chi va e di chi resta. Ho girato in completa libertà, senza dovermi preoccupare della parte produttiva. Lavoravamo con orari elastici, senza avere un piano di produzione rigido, sfruttando le risorse umane coinvolte nel progetto. Non ci siamo preoccupati dell'estetica del film, ma la fase lavorativa più complessa e accurata è stato il montaggio.

Il film è stato realizzato con pochissimi mezzi, ma nonostante la spensieratezza non vi è mai stata superficialità durante le riprese.
Pier Giorgio Bellocchio: La spensieratezza è legata al fatto che, invece che girare per dieci settimane di fila, abbiamo girato due settimane l'anno. Nel gestire il materiale umano, Marco non ha avuto nessun tipo di vincolo. Un film convenzionale ha problemi pratici da risolvere, problemi che in questo caso non sussistevano. E' un film che mi ha permesso di crescere molto visto che mi sono trovato a lavorare in un ambiente estremamente protetto visto che quasi tutti i personaggi presenti nel film sono membri della mia famiglia. Per me è stato un film di formazione. Vista la grande libertà, Marco si poteva permettere di insegnare, di donare un po' della sua arte, cosa che non accade quando si trova a girare un film convenzionale.

Pier Giorgio, personalmente tu cosa hai imparato dal film?

Pier Giorgio Bellocchio: Prima di tutto ho messo la prova la mia vocazione di attore. In questi anni ho capito la natura del mestiere, mi sono reso conto di come questo lavoro sia legato alle sensazioni personali, allo stato del momento. Ho capito i miei limiti e mi sono reso conto di dover studiare molto e migliorare per raggiungere certi obiettivi artistici. Credo che la mia maturazione in questi anni sia palese nel film.

Con Sorelle Mai si chiude un certo tipo di ricognizione affettuosa su chi resta.
Marco Bellocchio: Si, questa la ritengo un'esperienza conclusa. Probabilmente farò ritorno a Bobbio per girare altre cose. Già due anni fa avevamo concluso il film. L'anno scorso abbiamo girato una cosa dedicata alla Monaca di Monza che forse un futuro diventerà un film. Il finale del film mostra chiaramente il mio pensiero: non c'è più spazio per i ricordi.

Alcuni interpreti del film, come Gianni Schicchi, non sono attori. Cosa ti ha spinto a coinvolgerli nel progetto?
Marco Bellocchio: Sai, ti trovi a Bobbio e vuoi fare qualcosa di bello. E' inevitabile coinvolgere le persone che ti stanno intorno. Perciò ho fatto un lavoro di improvvisazione tenendo conto delle storie personali dei personaggi. Questo vale per Pier Giorgio, per mia figlia Elena, per le mie sorelle e per Gianni. Poi ci sono attori veri come Donatella Finocchiaro che non sono connessi a Bobbio, non hanno mai vissuto lì, ma sono entrati a far parte del progetto in seguito a percorsi strani. Anche il Trovatore è stato un caso, era a teatro in quei giorni e lo abbiamo inserito nel film. Qui non vi era neanche una sceneggiatura vera e propria. C'era un canovaccio messo in piedi in pochissimo tempo insieme ai vari gruppi di studenti.

Questo è un modo in insegnare cinema?
Marco Bellocchio: Ci sono tanti modi per insegnare cinema. Quest'anno io non potevo tenere il corso e ho chiamato Daniele Segre che ha fatto un lavoro di tipo diverso.

Tu devi qualcosa a Bobbio o Bobbio deve qualcosa a te?

Marco Bellocchio: Io mancavo da Bobbio da anni. Le circostanze sono state molto favorevoli e io sono tornato per lavorare perché odio il patetismo. Tornare per lavorare è qualcosa che mi fa sentire vivo, però Bobbio non mi deve assolutamente niente. Non penso che questo sia importante. Quest'anno che non ho fatto il corso ci sono state molte più richieste. O non mi vogliono più a Bobbio o l'aumento delle richieste dipende dal fatto che molti giovani non sanno che percorso seguire nella vita e il corso è gratuito. Spero che il progetto continui ad andare avanti anche senza di me.