Recensione Norwegian Wood (2010)

A un romanzo complesso e stratificato, pervaso da una sensualità non ancora matura, ma accesa, vitale, e da un senso di scoperta dell'altro vibrante e necessario si contrappone un film elegante, algido e stilizzato, in linea con molta produzione orientale contemporanea.

Il sussurro rabbioso dell'esistenza

"La mia vita mi sembrava vuota come i margini dei libri che leggevo avidamente". I personaggi che popolano Norwegian Wood, romanzo generazionale firmato dal genio di Haruki Murakami, si trasferiscono in punta di piedi sul grande schermo in una pellicola che riproduce le atmosfere sospese e i drammi che agitano un gruppo di studenti giapponesi fotografati nella stagione che segna il passaggio dall'adolescen za all'età adulta. Il triangolo sentimentale tra Watanabe, Naoko e Midori si consuma sullo sfondo di un giappone incontaminato e verdeggiante, quasi da cartolina. Chi conosce la profondità e l'originalità delle opere di Murakami sa quanto sia difficile tradurre in immagini il flusso di pensieri che agita la mente dei suoi personaggi. A cimentarsi nell'impresa ardua, stavolta, non è un regista giapponese, ma il franco-vietnamita Anh Hung Tran, autore degli ottimi Cyclo e Il profumo della papaya verde.

Per portare sullo schermo Norwegian Wood senza tradirne lo spirito originario, Tran ha scelto di sfrondare il romanzo di alcuni personaggi ed episodi che fornivano colore al racconto lavorando per sottrazione in modo da arrivare al cuore della vicenda: la relazione tormentata di Watanabe con la complicata Naoko e con la solare Midori. A un romanzo complesso e stratificato, pervaso da una sensualità non ancora matura, ma accesa, vitale, e da un senso di scoperta dell'altro vibrante e necessario si contrappone un film elegante, algido e stilizzato, in linea con molta produzione orientale contemporanea. Il regista abbandona la narrazione retrospettiva del romanzo (la voce narrante è quella di un Watanabe ormai maturo) per calarsi in un passato privo della dimensione nostalgica. Alla parola spesso si sostituisce il simbolo. In una storia privata degli episodi accessori e incentrata su pochi eventi fondanti, intervallati da lunghe e drammatiche attese, la responsabilità della narrazione si concentra sui tre giovanissimi attori che si dimostrano all'altezza della situazione. Ken'ichi Matsuyama fornisce una buona prova incarnando un Watanabe che alterna esuberanza giovanile a insicurezze profonde, mentre l'esordiente Kiko Mizuhara incanta con sorrisi disarmanti dando vita alla vivace Midori, ma la performance più significativa è quella della talentuosa Rinko Kikuchi. Dopo la nomination all'Oscar per Babel e il ruolo dell'assassina in Map of the Sounds of Tokyo, la Kikuchi dimostra di essere ulteriormente cresciuta come interprete misurandosi nel ruolo più complesso, quello della tormentata Naoko.
Essenziale il lavoro svolto da Tran nell'uso del paesaggio e della colonna sonora. Gli sterminati prati verdi della campagna giapponese, gli spazi innevati, il mare in burrasca, scorci di paradiso vengono piegati ai fini del racconto per fungere da cassa di risonanza dei sentimenti che albergano nell'animo dei protagonisti sbilanciando l'asse del film sul piano della dimensione estetica. La raffinata fotografia, che privilegia toni freddi e cupi negli incontri tra Watanabe e Naoko per poi digradare in colori tenui e pastellati con l'entrata in scena di Midori, si fa livida nelle scene di sesso che rappresentano i momenti di svolta della narrazione. Qui il regista decide di concentrarsi esclusivamente sui volti dei protagonisti usando piani stretti per creare il massimo contatto possibile tra interpreti e spettatore, accentuando ogni fremito provato dai due. Fondamentale anche l'apporto della colonna sonora di Jonny Greenwood, tutta giocata su assonanze e dissonanze con le immagini mostrate, capace di acquistare progressivamente peso fino a deflagrare nel drammatico prefinale che segna il crudo abbandono della spensieratezza giovanile da parte di un Watanabe che scopre per la prima volta il dolore vero. "And when I awoke I was alone, this bird had flown. So I lit a fire, isn't it good, norwegian wood" (The Beatles).

Movieplayer.it

3.0/5