Recensione Phobia 2 (2009)

Sulla scia del successo commerciale del precedente '4bia', la casa di produzione GTH rilancia con un nuovo horror a episodi dallo stile variegato e fluttuante. Degni di nota in particolare l'episodio 'Backpackers', originale rivisitazione dello zombie-movie, e 'In the End' esilarante satira metacinamatografica sulle convenzioni del genere horror.

I cinque volti della paura

Nella storia dell'horror cinematografico un posto tutto speciale occupa una particolare sotto-categoria, quella del film a episodi, che - dai collage antologici degli anni Sessanta e Settanta come I tre volti della paura fino alla recente collana televisiva dei Masters of Horror - è sempre riuscita a conquistarsi una fetta di pubblico e di mercato, a volte con risultati inaspettati sia dal punto di vista commerciale che artistico. In modo molto simile alle antologie letterarie del brivido, gli horror a episodi sono spesso il campo di prova per misurarsi con esercizi di stile eccentrici, consentendo ai registi di sperimentare con maggiore libertà e sfrenatezza. Di recente la tendenza all'horror episodico ha attecchito in Estremo oriente, dove l'utilizzo di questo espediente consente di realizzare produzioni a budget ridotto, ma che spesso si trasformano in ottimi successi commerciali. In particolare in Tailandia la casa di produzione GTH lanciò nel 2008 il progetto 4bia, silloge di quattro racconti dell'orrore, divenuto un vero e proprio fenomeno in patria. Sull'onda del successo del primo film, i produttori hanno pensato bene di dare vita a Phobia 2, questa volta espandendo l'antologia a cinque episodi, affidandoli sia a registi che avevano lavorato nella precedente raccolta, sia a nuovi autori. Il risultato è stato un nuovo boom ai botteghini tailandesi, in grado di dare ossigeno a un'industria che attualmente sta vivendo una fase di stallo (complice anche la tremenda situazione di tumulto politico e sociale del paese).


È molto difficile trovare un fil rouge capace di accomunare i cinque episodi di questa nuova antologia, tanto sono variegati per quel che riguarda i soggetti, lo stile, il tono, e gli esiti artistici complessivi. A Paween Purijitpanya (che aveva già lavorato al precedente 4bia) è affidato il compito di aprire il film con il segmento Novice, incentrato su un ragazzo che si rifugia in una comunità buddista nella foresta, ma che sarà perseguitato da spiriti vendicativi. Si tratta di un esperimento piuttosto riuscito che, rievocando leggende e superstizioni radicate nella cultura locale e sfruttando le suggestioni dello scenario naturale, riesce a elaborare un'atmosfera oscura e inquietante. Il successivo episodio Ward, dallo stile più tradizionale, è diretto da Visute Poolvoralaks, montatore abituale della casa GHT. L'autore si cimenta con un racconto ambientato in una corsia d'ospedale, cercando di evocare tutte le paure connaturalmente legate a questo luogo (operazioni chirurgiche, siringhe, eccetera). Ancora una volta sono le suggestioni religiose a farla da padrone, dal momento che il protagonista dell'episodio, feritosi in un incidente, finisce per stare accanto a uno strano santone, sospeso tra la vita e la morte. Altro piccolo esercizio di stile che pare lavorare soprattutto d'atmosfera concentrandosi sullo sfruttamento di un'ambientazione claustrofobica è Salvage, diretto da Parkpoom Wongpoom, co-regista dell'acclamato Shutter. Ambientato interamente in un autosalone di macchine usate, in cui aleggiano ancora le presenze delle vittime di incidenti stradali, il frammento è affidato alle virtù recitative di Nicole Theriault, madre distratta alla ricerca del proprio bambino.

Decisamente più sostanzioso è Backpackers di Songyos Sugmakanan, che aveva già rivelato le proprie doti nell'horror con Dorm. All'inizio sembra l'ennesima variazione sul tema di The hitcher, con due autostoppisti giapponesi che sono raccattati da un'improbabile coppia di camionisti nel mezzo della foresta tailandese. Ma l'episodio diventa ben presto un impressionante zombie-movie dalla valenza inaspettatamente politica, poiché dentro il cargo si risvegliano improvvisamente dei corrieri della droga deceduti, determinati a vendicarsi. Del tutto isolato dal contesto è invece il tassello conclusivo dal significativo titolo In the End, frutto dell'estro dell'altro co-regista di Shutter, Banjong Pisanthanakun. Si tratta senza dubbio dell'esito più riuscito di Phobia 2, sebbene il suo scopo non sia quello di provocare la paura, bensì il riso. Ambientato sul set di un film horror (con insistiti rimandi autoironici ai precedenti lavori del regista), In the End è piuttosto un'esilarante parodia metacinematografica sulla falsariga di Scream, in cui si ridicolizzano le convenzioni del cinema horror (in particolare quello asiatico) con una sfilza di gag grottesche che conducono a un finale ironicamente "autodistruttivo".

Insomma, non si tratterà di certo di un approccio innovativo alla materia, ma Phobia 2 risulta pur nei suoi toni alti e bassi, un divertissement piacevole e volutamente senza pretese.