Recensione La città verrà distrutta all'alba (2009)

Un rifacimento non necessario, ma indispensabile per comprendere come nulla sia cambiato negli ultimi quarant'anni, a parte il cinema. Un film di intrattenimento di livello superiore, estremizzato, adrenalinico e spettacolare, che non rinuncia all'ironia e alla citazione del suo predecessore ma che ne fa una extended version di grande qualità.

Pazzia da remake

Tutto il mondo lo conosce come il padre dei morti viventi, ma George A. Romero non è solo il più grande intenditore di zombi al mondo e il regista di genere che ci ha insegnato ad amarli e a comprenderli in tutte le loro molteplici sfaccettature, ma è anche un cineasta di grande estro, un personaggio di rottura, contro il sistema, uno che ha raccontato le tenebre del nostro mondo cosiddetto 'civile' già quarant'anni fa, il regista che negli anni '70 con La città verrà distrutta all'alba, La stagione della strega e Wampyr ha narrato in modo genuino e senza edulcoranti la 'sua' America allo sbando e quel sogno americano che si infrange contro la realtà, quella che mostra non una civiltà morente bensì una civiltà che probabilmente non è mai esistita. Pessimista, ribelle, indipendente dallo star-system, Romero è autore proprio negli anni '70 di film 'minori', piccoli thriller psicologici cui il cinema moderno, presto o tardi, renderà la celebrità che meritano. Ha aperto le danze quest'anno la Vantage, sussidiaria della Paramount, che in collaborazione con la Imagenation di Abu Dhabi realizza proprio il remake de La città verrà distrutta all'alba, piccolo gioiellino romeriano di suspense uscito nelle sale nel lontano marzo 1973. Una co-produzione Usa-Emirati Arabi ad omaggiare dunque il terzo film del maestro dell'orrore che a quei tempi fu un vero e proprio flop di pubblico e critica, girato con pochissimi soldi in Pennsylvania con i cittadini autoctoni a fare da comparse.
Già, perchè questo remake diretto dall'esordiente Breck Eisner e (ri)scritto da Ray Wright e Scott Kosar (già autore degli script di altri due remake, quello di Amityville Horror e di Non aprite quella porta) racconta più o meno la stessa storia dell'originale, quella di una cittadina americana che per una misteriosa contaminazione si ritrova nel caos più totale, dilaniata da un virus che contagia il cervello trasformando chiunque in un folle maniaco omicida.

Qualcosa di strano aleggia nell'aria a Ogden Marsh, una comunità rurale di poche migliaia di abitanti insediata nelle sconfinate pianure dorate del Mid West. I primi ad accorgersi che qualcosa non va sono lo sceriffo della contea David Dutton e la moglie Judy dottoressa nell'ospedale della città, una coppia felice che aspetta il loro primo figlio. Una vita da sogno, quella che i due si apprestano a vivere in una splendida casa in cima alla collina ma che presto si trasformerà in un incubo come quella di tutti i loro conoscenti e amici. Nel tentativo di fermare il diffondersi dell'epidemia, l'esercito sarà costretto a ricorrere a misure drastiche bloccando accesso e uscita dalla città, calpestando i diritti di tutti, infettati e non. Mentre il panico si diffonde assai più velocemente del virus, ai due coniugi toccherà il difficile compito di mettersi in salvo con qualunque mezzo a disposizione e nell'impossibilità di fidarsi di vicini di casa e conoscenti, saranno costretti ad affrontare insieme ai due amici più stretti una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Dovranno farlo per loro stessi ma soprattutto per il bambino che nascerà e dovranno farlo in fretta, prima dell'alba, prima che la città venga distrutta per sempre e cancellata dalla faccia della Terra.

Chi si aspetta un remake fedele al 100% all'originale verrà deluso perchè qui siamo di fronte a tutto un altro film, nonostante la storia sia più o meno la stessa. Questo rimodernamento del classico di George Romero è infatti qualcosa di più di una semplice rilettura, è la stessa storia vista con uno sguardo contemporaneo, ancor più disilluso, provocatorio e catastrofico di quello originale. Il film interpretato dai bravi Timothy Olyphant e Radha Mitchell è un racconto agghiacciante ed avvincente in cui si vede tutto quello che nel film originale non veniva mostrato, tutto quel che Romero ha voluto o dovuto lasciare sottinteso o all'immaginazione dello spettatore per esigenze stilistiche e finanziarie. Vuoi infatti per il budget ridotto, vuoi perchè il mitico George è stato uno dei maestri della suspense - un cupo destabilizzatore con una vena ironica affilata e ficcante nonchè portatore (in)sano di panico e diffidenza - il film del 1973 usava armi diverse, assai più efficaci degli effetti speciali per incutere terrore e scuotere lo spettatore: il senso di smarrimento e cospirazione, la paura che si nasconde in uno sguardo o in una risata malsana, la tensione e l'impotenza del singolo cittadino di fronte al potere dello Stato, l'abuso di potere, l'insensatezza di un mondo e di una società in cui nessuno crede più.

Un rifacimento non necessario, ma indispensabile per comprendere come nulla sia cambiato negli ultimi quarant'anni, a parte il cinema. Il risultato è un film di intrattenimento di livello superiore, estremizzato, adrenalinico e spettacolare, che non rinuncia all'ironia e alla citazione del suo predecessore ma che ne fa una extended version di grande qualità.
Diversi i personaggi protagonisti nella loro caratterizzazione, diversa la storia e la sua narrazione, non c'è alcun focus sul virus come nell'originale ma tutto poggia sui personaggi, sulla loro voglia di farcela, sulla loro tenacia. Romero accennava solamente ai motivi, alle cause e alle soluzioni di un'emergenza biologica non ben identificata, Eisner ci svela tutto per filo e per segno sciogliendo una ad una tutte le ambiguità della storia originale per dar vita ad un survival-movie stimolante e avvincente, in cui la malattia si trasforma gradualmente da solo malessere psichico in una vera e propria mutazione fisica.

Un inizio e un finale assai differenti, meno taglienti ma più spettacolari, fanno perdere forse qualche punto rispetto al lavoro più 'cerebrale' di Romero che regalava proprio nelle ultime scene i brividi più intensi. Resta il fatto che questa nuova versione di grande impatto visivo ed emotivo de La città verrà distrutta all'alba merita a pieno titolo tutto il successo riscosso in patria e la piena approvazione che lo stesso Romero gli ha conferito. Esame superato, senza lode, ma a pieni voti.

Movieplayer.it

4.0/5