Recensione Scontro tra titani 3D (2010)

Il viaggio di Worthington si colora di toni fantasy che risultano debitori in parti uguali dell'ultimo George Lucas, di un Peter Jackson rigorosamente "depurato" dalla sua componente più fisica, e delle trasposizioni cinematografiche delle storie di Harry Potter.

Titani postmoderni

E' regista muscolare, Louis Leterrier. Francese trapiantato ad Hollywood, alla seconda prova a stelle e strisce dopo L'Incredibile Hulk, Leterrier è il perfetto esempio di una tendenza ad un cinema d'oltralpe globalizzato e postmoderno, che da ormai oltre un decennio ha in Luc Besson il suo principale artefice. La "muscolarità" del cinema del francese, quindi, sembrava prestarsi perfettamente per un remake come questo Scontro tra titani 3D, chiamato a far rivivere un piccolo cult dei primi anni '80 in una dimensione digitale e (discutibilmente) tridimensionale, avvalendosi del volto statuario e del corpo di un interprete ideale del cinema d'azione moderno come Sam Worthington.
Non è ovviamente cambiato, l'intreccio, nelle sue linee principali: il viaggio di Perseo, semidio alla ricerca del modo per salvare la città di Argo (e la principessa Andromeda) dalla furia degli dei e del Kraken, la discesa nell'Ade, il confronto con la mortale Medusa. Le similitudini tra le due pellicole, tuttavia, si fermano qui: il fascino un po' kitsch della pellicola originale, aiutato dalle creazioni artigianali del maestro Ray Harryhausen, viene annegato da una concezione roboante e curiosamente asettica dell'azione cinematografica, in cui (e sembra un paradosso) è proprio la fisicità a latitare. Il peplum, come genere cinematografico con proprie regole, resta un semplice pretesto: il viaggio di Worthington si colora di toni fantasy che risultano debitori in parti uguali dell'ultimo, e altrettanto asettico George Lucas (nelle creature digitali che minacciano i protagonisti), di un Peter Jackson rigorosamente "depurato" dalla sua componente più fisica, e delle trasposizioni cinematografiche delle storie di Harry Potter (e la scelta di Ralph Fiennes come villain non può dirsi certo casuale).

In tutto ciò, la sceneggiatura (invero traballante) apporta comunque modifiche alla storia originale che non possono definirsi minori: la love story tra l'eroe e Andromeda (la giovane Alexa Davalos) viene cassata, il viaggio diventa più "corale" (sul modello, appunto, della Compagnia dell'Anello), il contrasto tra la natura umana e quella divina del protagonista viene accentuato. Il motivo dello scontro tra uomini e dei sostituisce, in gran parte, quello delle gelosie e delle rivalità tra i secondi, mentre Worthington si cimenta ancora una volta con un personaggio che è a metà (dopo il semi-cyborg di Terminator Salvation e il semi-Na-vì di Avatar). Tuttavia, non sono certo le (inesistenti) finezze di sceneggiatura il motivo di interesse del film, che al contrario sfrutta il fascino di riporto del soggetto per costruire l'ennesimo, tecnicamente impeccabile giocattolo tecnologico: un giocattolo, però, mancante proprio dell'essenza del genere, ovvero di carne, lacrime e sangue, curiosamente bidimensionale. E non è un caso, infatti, che il 3D non funzioni affatto in un film del genere, nato per le due dimensioni e in cui la forzata aggiunta di questa tecnologia non fa nulla per rendere più vivo, fisico e reale il mondo che ci viene presentato. Questo risultato, forse, imporrebbe una riflessione sull'uso delle tre dimensioni per opere originariamente concepite in altro modo, anche alla luce della recente proposta di "tridimensionalizzare" alcuni dei blockbuster più recenti: una posizione che, lungi dall'opporsi alla tecnologia, ne richiede al contrario un uso più oculato e intelligente. Ma evidentemente, come viene dimostrato anche qui, l'industria hollywoodiana non sembra badare molto a certe sottigliezze.

Movieplayer.it

2.0/5