Recensione Il piccolo Nicolas e i suoi genitori (2009)

In una pellicola a misura di bambino, ma attenta anche al punto di vista adulto, il mondo dell'infanzia è descritto con ironia e leggerezza, ma anche con la giusta dose di profondità, rispettando le linee guida dettate da Goscinny, scrittore dei racconti da cui il film è tratto, e dal suo illustratore Sempé.

Una quasi fiaba per bambini e non solo

Bambini lo siamo stati tutti, eppure scrivere e dirigere un film per l'infanzia non è cosa alla portata di chiunque. Il tempo si porta via l'ingenuità e la freschezza dei nostri primi anni, e si finisce per banalizzare i sentimenti e i sogni che ci animavano, di liquidarli come cose di poca importanza, in confronto alla realtà della vita adulta. E' forse la capacità di rivivere con tenerezza e nostalgia, ma anche onestà, i momenti dell'infanzia che ha reso celebri i racconti di René Goscinny (creatore, tra gli altri, di Asterix e Lucky Luke), illustrati da Jean Jacques Sempé, ed è questo stesso sentimento empatico che anima anche il regista Laurent Tirard, che ne Il piccolo Nicolas e i suoi genitori ne realizza una precisa, seppure parziale vista l'immensa mole di materiale cartaceo, trasposizione su grande schermo.
Il punto di vista della storia è appunto quello di Nicolas, che con il suo sguardo attento e irriverente descrive con immagini semplici ma efficaci il mondo in cui vive: quello degli amici e della scuola, ma soprattutto il suo ménage familiare, apparentemente tranquillo ma pronto ad essere sconvolto da un semplice equivoco. L'amico Joachim gli rivela infatti che, quando un papà porta fuori la spazzatura senza fare storie ed è premuroso con la mamma, è segno evidente dell'arrivo di un fratellino; Nicolas, ravvisando gli stessi atteggiamenti a casa propria, cade preda del panico. A peggiorare la situazione, Joachim si assenta improvvisamente da scuola: per Nicolas e i suoi amici questo può voler dire una cosa sola, ovvero che, all'arrivo del fratellino, la famiglia di Joachim si è sbarazzata del figlio maggiore. Comincia così per il gruppo una vera odissea, tesa ad ingraziarsi la madre di Nicolas in modo da impedirne l'abbandono e poi, extrema ratio, a organizzare il rapimento nel nascituro.

Sin dalle primissime sequenze, è chiaro come la forza del film sia quella di impostare la narrazione sulle privatissime riflessioni di Nicolas: se questo, da una parte, ci offre un punto di osservazione privilegiato e il più possibile aderente alla realtà del protagonista, dall'altra ha il pregio di metterci a confronto con il nocciolo duro del suo carattere. E' un piacere scoprire il mondo con gli occhi di Nicolas: aldilà dell'angoscia e dei dubbi riguardo il cambiamento, o presunto tale, che si appresta ad affrontare, Nicolas trae forza dal proprio senso dell'umorismo, di cui ci viene dato un assaggio nella piacevolissima sequenza iniziale, dove i compagni di classe sono tratteggiati nei loro aspetti più peculiari attraverso la lente della comicità. Nonostante il personaggio originale sia stato creato negli anni Cinquanta, e il film stesso sia ambientato in un passato generico, che riecheggia le atmosfere delle pellicole di Jacques Tati ma esula da qualsiasi riferimento temporale preciso, nulla impedisce ai bambini di oggi di identificarsi in Nicolas. E' una dimensione fiabesca quella che l'autore prima e il regista poi hanno conferito alle vicende del piccolo protagonista: profondamente immersi nel proprio mondo infantile, fatto di amici, scuola, genitori e poco altro, e irraggiungibili da ogni disputa di carattere sociale o politico, Nicolas, e con lui i suoi amici, sono personaggi universali, capaci di trasmettere tutto l'entusiasmo e la profondità di sentimenti di un bambino.
Il piccolo Maxime Godart, e i suoi giovanissimi colleghi, reggono con facilità il confronto con la controparte adulta del cast, nella quale spiccano Valérie Lemercier e Kad Merad nel ruolo dei genitori e Sandrine Kiberlain in quello della maestra, capaci di dare vita a personaggi vibranti e ben caratterizzati, senza sottrarre spazio al fulcro della narrazione.
Tirard riesce a dare risalto alla voce dei bambini e a dare dignità ai loro sentimenti parlando contemporaneamente anche agli adulti, riportandoli con delicatezza e garbo a un passato forse dimenticato e offrendogli anche una possibile chiave di lettura per un mondo con il quale sentono di non avere più molto in comune. Era difficile riuscire a restituire sul grande schermo la freschezza e la sintetica poesia delle illustrazioni di Sempé, così come la schiettezza e la precisione delle parole di Goscinny, ma grazie ad una regia sobria e mai invasiva, l'attenzione rimane sempre focalizzata sul personaggio e sul suo profondo, affascinante mondo interiore.