L'arte di arrangiarsi per Tartaglia e il cast de La valigia sul letto

Una coppia di napoletani e l'arte (estrema) di arrangiarsi: incontro con Eduardo Tartaglia e il resto del cast de 'La valigia sul letto': Veronica Mazza, Alena Seredova, Ernesto Mahieux e Maurizio Casagrande.

Achille (Eduardo Tartaglia), impiegato in nero all'Anagrafe di Napoli, si vede recapitare all'improvviso un'ingiunzione di sfratto. Perso anche il precario lavoro per un'imprudente filippica contro la camorra davanti a due boss locali, deve trasferirsi con la bella compagna Brigida (Veronica Mazza), che di mestiere fa consegne a domicilio vestita da polpetta, nelle gallerie in costruzione della metropolitana. Per la sfortunata coppia, l'occasione di fare il salto di qualità si presenta quando, scoperta una loro parentela con il pentito Antimo Lo Ciummo (Biagio Izzo), i due vengono inseriti nel programma protezione testimoni, e momentaneamente alloggiati in compagnia della bigotta sorella di Achille e dello stesso Antimo, in un cimitero. La convivenza, complice anche l'ambiente non proprio ortodosso, si rivela non facile, e, come se non bastasse, una bella assassina (Alena Seredova) sguinzagliata dalla concorrenza è sulle tracce di Antimo. Per il suo terzo impegno alla regia, Tartaglia sceglie quindi il confronto con i pilastri dell'immagine napoletana: la capacità (e la necessità) di arrangiarsi sempre e comunque, il perseverante spirito di iniziativa, l'attitudine al buonumore e alla sdrammatizzazione anche dei momenti peggiori. In questo excursus su vizi e virtù dell'essere napoletani, che riesce a mettere in campo anche problemi universali come la precarietà del lavoro e le sue conseguenze sugli affetti, trova spazio anche una riflessione sul ruolo della criminalità organizzata che, sebbene caratterizzata da un registro leggero, non manca di profondità.

Come è nato il progetto del film?

Eduardo Tartaglia: La mia estrazione è quella teatrale, e questo all'inizio è stato limitante, ma inevitabile, nel mio approccio al cinema. Credo di aver appreso il cinema facendolo, non ho innata in me la capacità di raccontare per immagini, anche perché sono abituato, a teatro, ad usare le parole. Di questo mio percorso, spero di crescita, devo ringraziare la produzione che ha creduto in me, a partire da Medusa che mi ha scoperto nel classico teatrino off. Soprattutto in questo momento storico in cui tutto si brucia in fretta, in cui non si sperimenta, è stato importante per me che Medusa abbia aspettato una mia maturazione e mi abbia lasciato fare il mio percorso.

Alena, come ti sei avvicinata al tuo personaggio? Hai già avuto modo di vedere il film finito? Alena Seredova: Ancora no, perché a me piace guardare il film al cinema, sedermi tra il pubblico e sentire i loro commenti. Per me è stata un'esperienza molto particolare, e anche se il gruppo era quasi totalmente composto da napoletani e io sembro poco compatibile, mi sono trovata molto bene, sembrava davvero una vacanza. Durante le riprese poi ero al quinto mese di gravidanza, e per questo interpretare il personaggio di un'assassina è stato strano, ma anche divertente. Non conoscevo i produttori e il regista, ma con diversi membri del cast, come Maurizio e Biagio, avevo già lavorato, e quello con tutti loro è stato un confronto non da poco, soprattutto per me che non mi ritengo un'attrice.

Eduardo, come hai scelto il cast? Eduardo Tartaglia: Quando scrivo, mi aiuta pensare agli attori che vorrei per i vari ruoli, nella speranza di stare scrivendo quello che in effetti sarà, basandomi anche sull'apporto interpretativo degli artisti. Veronica poi, che è mia compagna sia nel lavoro che nella vita, mi aiuta a pensare al punto di vista femminile: molto spesso la donna arricchisce il racconto, è l'elemento che crea il conflitto e l'evoluzione nella storia, ma a me piace imporre una visione a trecentosessanta gradi dell'elemento femminile, e in questo Veronica mi è indispensabile. Io poi sono molto fortunato, perché sono benvoluto da tanti colleghi che sono anche amici, e avere la possibilità di lavorare senza malintesi e gelosie è un fatto straordinario. Per il ruolo dell'ispettore un po' sgangherato avevo pensato fin da subito a Maurizio, per esempio, e molte scene le ho scritte sperando che avrei avuto proprio lui nel cast. Non era realistico, poi, che Biagio venisse braccato da un killer di Napoli: un camorrista come lui era logico conoscesse tutti i malviventi locali, e per questo ho ideato la figura di Alena.

Veronica, come hai preparato il tuo ruolo?

Veronica Mazza: Innanzi tutto io voglio ringraziare i produttori che hanno creduto in me, e che hanno appoggiato la nostra scelta di campo, quella di essere da quindici anni insieme, e spero di ripagare questa fiducia. Io al cinema sono una sconosciuta, e sono contenta di essere stata inserita nel vivaio delle cosiddette "promesse". Per fare questo film ho rinunciato anche ad un ruolo importante in una fiction su Canale 5, ma non potevo abbandonare questo ruolo scritto per me e questo film che, credo si veda, è stata un'esperienza corale. Vivendo con l'autore, ci siamo misurati molto con il ruolo femminile, l'abbiamo limato insieme: spesso i personaggi femminili sono un po' stereotipati, ed è stato un privilegio per me interpretare questa figura che è invece di spessore.

Maurizio, quali sono le differenze tra Tartaglia e Salemme, un altro regista con cui hai lavorato spesso? Maurizio Casagrande: Non si somigliano affatto, anche se il percorso che hanno fatto è lo stesso, partendo da una compagnia teatrale per arrivare al cinema. Sono entrambi campani... E fin qui sono identici. Credo ci sia in entrambi la capacità di raccontare storie divertenti ma dicendo anche qualcos'altro. E se il pubblico vuole vedere questo qualcos'altro bene, altrimenti ci si diverte e basta.

Eduardo, come mai hai scelto di inserire il tema della camorra nelle pellicola? Eduardo Tartaglia: Dei miei tre film credo che questo sia il primo davvero "napoletano cittadino", perché parte proprio dalla città in sé, mentre gli altri non affrontavano questa realtà. Il rischio di parlare di Napoli è enorme, perché su Napoli è già stato detto tutto, ma c'è sempre spazio per raccontare qualcosa di nuovo in un modo nuovo. Qui, come nella commedia più tradizionale, la tragedia è stata raccontata da un punto di vista diverso, rispetto a quanto poteva invece essere seria e drammatica. Io ho l'attitudine ai chiaroscuri, sempre però dalla prospettiva della risata: c'è la speranza, però, che si possa andare oltre alla risata più superficiale, e come in un gioco di scatole cinesi si colga anche l'amarezza. La Napoli che ho descritto è quasi una metafora di se stessa, e Achille che va a vivere nel sottosuolo è emblema del sotterraneo che vuole venire alla luce.
Veronica Mazza: Una specie di "j'accuse" esiste, nei confronti dell'attitudine tipicamente napoletana dell'arrangiarsi: abbiamo cercato di ridicolizzare il discorso dell'escamotage, e di mettere in luce i difetti e i pregi che rendono unica Napoli.

Quanto è importante l'uso del dialetto?

Eduardo Tartaglia: E' la nostra lingua, molto spesso pensiamo in dialetto, sogniamo in dialetto; è la lingua dell'immediatezza, dell'istinto, quella che ci mette a nudo. E' difficile dimenticare questo aspetto, ed è vero che, svestendoci di questa parte di noi, ci si sterilizza un po'. Maurizio e Biagio, che sono i più esperti tra di noi, ci hanno aiutato a mantenere l'anima del napoletano filtrandola attraverso la comprensibilità: se non ci si riesce a far capire, si rischia di indispettire il pubblico. D'altro canto lo stesso Eduardo aveva fatto dei compromessi, e questo lo ha premiato.

Le scene realizzate nel cantiere della metropolitana erano girate nei luoghi effettivi o ricreate in studio? Eduardo Tartaglia: Il cantiere esterno è quello vero, mentre per le scene all'interno delle gallerie abbiamo ricostruito l'ambiente in alcuni tunnel abbandonati dell'Ente Autonomo Volturno, che ci ha messo anche a disposizione materiali e operai. A Napoli si ha sempre la collaborazione di tutta la città, è una città che tifa per i suoi figli.

Ernesto, che tipo è il tuo Don Nicola? Ernesto Mahieux: Io voglio fare i complimenti a Eduardo, ma devo anche ammettere che il mio personaggio non era indispensabile che fosse fatto da me, lo poteva fare chiunque. Mi è piaciuto lavorare con Eduardo, io ho fatto una quarantina di film e devo dire che questo set è stato uno dei migliori, e la produzione ci ha messo in condizione di lavorare benissimo, ma del mio personaggio non sono molto soddisfatto.

Ritieni che questo film e Fortapàsc, dove hai recitato, descrivano i due estremi della camorra? Ernesto Mahieux: Eduardo ha fatto solo un rapido passaggio sull'argomento, non lo affronta in profondità, e infatti Lo Ciummo è un latitante ipotetico. In Fortapàsc invece si parlava di storia, era la camorra di venticinque anni fa, profondamente diversa da quella di oggi. Spesso si fa confusione tra le due cose: anche Gomorra di Garrone racconta la camorra contemporanea.

Di quanto è stato il contribuito statale al film? Alessandro Tartaglia: Il Ministero dei Beni Culturali ha contribuito per circa il 50% del budget ed è stato quindi un apporto importante, mentre la regione Campania ha dato un aiuto di tipo diverso, ma non meno fondamentale. Noi siamo una piccola realtà, e per questo è doveroso ringraziare Medusa che in questo caso ha dato fiducia anche a me personalmente, che qui sono stato anche organizzatore generale.

Come è nato il sodalizio con Medusa?
Giampaolo Letta: E' nato nel 2001 in occasione del primo film di Eduardo, Il mare, non c'è paragone. Ci segnalarono di andare a vedere lo spettacolo a teatro, e ci è piaciuto subito. Noi cerchiamo di coprire i generi italiani a trecentosessanta gradi, investendo e lavorando anche con produzioni giovani, dove si trovano storie importanti anche a budget basso, che è una cosa che andrebbe fatta più spesso. Questo consente di sperimentare, e dà l'opportunità di lavorare con persone nuove. Il secondo film, Ci sta un francese, un inglese e un napoletano, è stato soprattutto un successo campano, mentre qui cerchiamo di uscire dal territorio.

Eduardo, nel tuo prossimo futuro ci sarà spazio anche per il dramma? Eduardo Tartaglia: Questo è il film in cui mi riconosco di più, perché c'è questa alchimia che mi diverte: raccontare storie piene di problemi attraverso la risata è una scommessa forte, e credo che potrei continuare così. Non so innanzi tutto se ci saranno altri film, e se prenderanno strade diverse, ma a me piace raccontare questo tipo di storia, che non sia frivola ma con la quale si possa comunque ridere.