Recensione Jud Süß (2010)

Il film di Oskar Roehler, regista de 'Le particelle elementari', fallisce nel rievocare la genesi del film di propaganda antisemita 'Juss l'ebreo' sia dal punto di vista della ricostruzione storica, sia per quanto concerne l'evoluzione psicologica del protagonista.

La caduta della star

Argomenti come il nazismo, l'antisemitismo e l'Olocausto non sono più ormai da tempo un tabù al cinema. Se questo sia un bene o un male, è una questione estremamente delicata, che necessiterebbe un dibattito ampio e approfondito. Certe tragedie, forse, sono talmente incommensurabili che di fronte a esse bisognerebbe sospendere la parola e lo sguardo. Tuttavia, opere in grado di porsi come testimonianza nei confronti della barbarie del nazismo sono comunque necessarie, se non altro come documento storico. Il cinema tedesco degli ultimi anni, con film quali La caduta o La rosa bianca - Sophie Scholl è tornato più volte a rielaborare il proprio oscuro passato, magari senza una visione e uno sguardo davvero forte, ma di certo con un onesto intento documentario e didattico. Purtroppo nemmeno queste intenzioni sembrano sorreggere Jud Süß, opera che esplora la genesi di uno dei più controversi film di propaganda antisemita realizzati durante il regime nazionalsocialista.

L'argomento è dei più interessanti, non soltanto perché riporta alla luce un intero genere di film propagandistici rimossi dalla memoria collettiva, ma perché permetterebbe di affrontare riflessioni ben più ampie sullo scopo dell'arte e sulla natura manipolativa dei mezzi di comunicazione di massa. Ma, sfortunatamente, il film di Oskar Roehler, che pure con Le particelle elementari aveva dimostrato comunque di attenersi a un'impostazione registica rigorosa, si dimostra del tutto incapace di affrontare un tema così delicato con la dovuta consapevolezza.

Difficile riuscire a comprendere le ragioni che stanno alla base della rievocazione di questo episodio storico. Roehler, infatti, non pare interessato alla ricostruzione attenta dei fatti, ma al tempo stesso non si concentra neanche sull'evoluzione psicologica del suo protagonista, l'attore Ferdinand Marian (interpretato dalla star germanica Tobias Moretti), costretto contro la sua volontà a interpretare l'indegno stereotipo antisemita di Suss. Nonostante gli sforzi recitativi di Moretti, pur encomiabili, la sceneggiatura non sembra mai riuscire a chiarire le motivazioni che stanno alla base del suo comportamento, né a definire un reale percorso di presa di coscienza e di maturazione.

Se Roehler non avesse dimostrato pretese artistiche, ma si fosse attenuto a uno stile di regia scolastico eppure contraddistinto da un certo rigore formale ed etico (necessario, data la materia trattata), allora alcuni difetti del film sarebbero perdonabili. Ma dal momento che Jud Süß cade in tentazioni estetizzanti (persino con ambizioni viscontiane in certi punti) che finiscono però per sconfinare solamente nel kitsch (vedasi tutte le numerose scene erotiche di cui è ricolmo in maniera ingiustificata il film), si può solo rimanere interdetti di fronte a una simile operazione, di cui francamente sfuggono del tutto le motivazioni e l'urgenza.