Recensione La prima cosa bella (2009)

Attraverso la riconciliazione tra Bruno, quarantenne infelice e disilluso, e la madre Anna, bella e piena di vita anche di fronte alla morte, Virzì ci offre l'occasione di fare pace con gli aspetti irrisolti della nostra esistenza, e di guardare verso il futuro con un po' di speranza.

Una storia d'amore e riconciliazione

La prima cosa bella che ho avuto dalla vita è il tuo sorriso giovane, sei tu. Difficile non conoscere questa canzone che, come tante, parla d'amore. E anche questo film, come tanti, parla d'amore, un amore tormentato, disperato, e per questo insostituibile. Non si tratta però, perlomeno non soltanto, dell'amore tra un uomo e una donna, quanto del sentimento che unisce una madre con suo figlio, anzi con i suoi figli, con suo marito, sebbene geloso e violento, e più in generale con la vita. E' questo che permette ad Anna di affrontare con serenità e gioia anche l'ultima parte della propria esistenza, nel reparto di cure palliative in cui è stata trasferita dopo che tutte le terapie si sono rivelate inefficaci. Qui la ritroverà il figlio Bruno, professore di liceo e consumatore occasionale di stupefacenti per "colmare un po' di vuoto, un po' di scontento...", dopo un'assenza di decenni. L'incontro con Anna, e la forzata frequentazione con la sorella Valeria, offriranno a Bruno l'occasione di ripercorrere la propria storia, fin dall'infanzia livornese (città di cui "odia tutto"), quando la sua giovane mamma fu eletta estemporaneamente "la mamma più bella", evento che decreterà la fine della tranquillità familiare.

Il marito, infatti, patologicamente geloso e fomentato dal chiacchiericcio dei vicini, sbatterà l'incolpevole Anna fuori di casa, condannandola ad un pellegrinaggio tra l'astiosa sorella, registi e produttori più o meno laidi, piccoli commercianti di buon cuore. Il tutto con al seguito i piccoli Bruno e Valeria, lui già scostante e diffidente in tenera età, lei orgogliosa della bellezza e dei successi, seppur limitati, della mamma. Ma tra un ricordo e l'altro, la vita va avanti e, durante un'evasione con destinazione luna park, Bruno è costretto a fare nuovamente i conti con l'esuberanza di Anna, e con quel legame che da sempre aveva cercato di rinnegare, prima dietro l'imbarazzo, l'accusa, e poi con la lontananza. Bruno è un personaggio apertamente inquieto e infelice, uno di quelli che non si sanno godere la vita, che nell'adolescenza scrivono poesie tormentate (ritornate prepotentemente attuali per il giovane nipote emo) e da adulti sono ancora chiusi in una bambinesca scontrosità. Eppure, sotto quel pervicace rifiuto della felicità, Bruno sa che, pur con tutti i difetti del caso, quello che ha e ha avuto è prezioso, e alla fine riesce perfino a riconoscerlo. Merito, certo, anche di una sorella che non gliene lascia passare una, che lo mette di fronte alle proprie responsabilità e anche ai propri sbagli, ma soprattutto di una mamma generosa, innocente ma anche determinata, come pochi avrebbero saputo essere, nel salvaguardare i propri affetti e la propria autonomia contro ogni assalto. I continui rimbalzi temporali tra i travagliati anni Settanta della famiglia Michelucci e il presente svelano a poco a poco la storia dei protagonisti, intessendo una corrispondenza di sentimenti ed eventi che si ricompone nell'ultima sequenza in cui, riconciliati con il proprio passato, Valeria, Bruno, ma anche un terzo fratello di cui fino a poche ore prima si ignorava l'esistenza sono pronti ad affrontare il futuro, liberi da conflittualità ed incomprensioni reciproche. Ricostruire l'unità perduta di una famiglia non è certo un'impresa da poco, ma Virzì riesce anche questa volta a trattare temi forti con spontaneità e leggerezza, dosando coscienziosamente l'ironia e suscitando una sincera commozione in chi guarda. D'altronde, sarebbe impossibile rimanere indifferenti all'interpretazione coinvolta e appassionata che offrono tutti i protagonisti: Micaela Ramazzotti e Stefania Sandrelli creano un contrappunto perfetto tra l'Anna del passato e quella del presente, in un rimando attento e calibrato di espressioni e atteggiamenti, mentre Valerio Mastandrea incarna tutta la lacerazione di chi si fa scudo dei fantasmi del passato per non provare ad essere felice.

La prima cosa bella non è soltanto un film in cui una tragedia, quella della morte, riesce a trasformarsi in un momento positivo, di forza e sostegno reciproco. E' un film in cui anche coloro che sembravano averne meno bisogno si ritrovano a sciogliere quei nodi che tutti ci portiamo dentro, e che ci rendono tutto più difficile: grazie ad Anna, che si avvia cantando verso la fine della propria vita, capiamo il valore del saper vivere senza sovrastrutture, della speranza in un domani che ci faccia vedere quanto di buono abbiamo oggi, anche se, come Bruno, volevamo essere ricchi e famosi e invece siamo soltanto "poveri e ignoti".