Perché, con Avatar, Cameron si conferma il Re del Mondo

Alla vigilia del tanto atteso debutto nelle sale italiane del rivoluzionario kolossal, sono ancora una voltà sotto gli occhi di (quasi) tutti le ragioni dell'unicità e della supremazia del cineasta James Cameron.

Sono passati quasi dodici anni da quel 23 marzo 1998 in cui James Cameron ritirava la decima (e penultima) statuetta d'oro consegnatagli dall'Academy per Titanic e si autoproclamava - richiamando con un pizzico di ironia e non poco, giustificato, autocompiacimento una scena del suo kolossal - "King of the World". In questi anni il cinema così come lo conoscevamo è inevitabilmente cambiato - anche per merito/colpa di Titanic - ma la corona e lo scettro di re del mondo (cinematografico) sembra ancora una volta appartenere a quel regista che nemmeno trent'anni fa veniva licenziato dal set di Piraña paura e che oggi invece con il suo Avatar si trova a sfidare soltanto sé stesso per la palma del maggior incasso della storia del cinema.

Non è poi troppo difficile capire il perché dello straordinario successo che da sempre accompagna i lavori del regista di Terminator, eppure c'è chi ancora oggi non riesce ad andare oltre alla semplice equazione effetti speciali = successo commerciale = brutto film. Il regista Roberto Faenza per esempio lo scorso 6 gennaio sulle pagine de La repubblica - prima ancora di aver visto il film di Cameron e basandosi quindi solo sui primi spezzoni mostrati dai trailer e dalle anteprime estive - lamentava una mancanza di umanità nel film di Cameron (così come in tutti i film hollywoodiani e di cassetta) dicendo peraltro di avere un'unica certezza: "il computer ha preso il sopravvento sulla macchina da presa, le immagini umane cui siamo stati abituati sin dai tempi dei fratelli Lumière sono ormai superate da immagini virtuali e artificiali".

Basterebbe guardare il nuovo film di Cameron per capire che questa tesi - su cui si può essere d'accordo o meno, e noi per inciso non lo siamo affatto - di certo non trova riscontro in Avatar: Cameron non abbandona affatto la macchina da presa, anzi la utilizza in modo assolutamente convenzionale con tanto di carrellate, controcampi e steadycam; l'utilizzo che fa della computer grafica e della tecnologia non è mai un fine, ma solo un mezzo per ottenere il risultato che si proponeva fin dall'inizio, ovvero la creazione da zero di un intero ecosistema che fosse alieno per lo spettatore e l'invasore umano, ma perfettamente realistico e coerente per i Na'vi, che quell'ecosistema lo abitano.
Con Titanic per esempio, Cameron aveva fatto tutto l'opposto, realizzando in scala (ma nemmeno troppo ridotta), un intero translantico che potesse richiamare non solo la maestosità della nave, ma anche l'enormità e l'impatto emotivo del disastro cui andò incontro. Anche negli esempi precedenti della sua filmografia (dall'animatronic di Aliens al morphing di Abyss e Terminator 2), le meraviglie tecnologiche sono sempre state al servizio dei veri obiettivi narrativi e cinematografici di un regista che ha sempre saputo concentrare grandi mezzi allo scopo di realizzare grandi idee. Esattamente come decenni prima avevano fatto Cecil B. DeMille e tutti gli altri grandi della Hollywood dei tempi d'oro, il suo fine è creare un cinema che sappia stupire lo spettatore, donare loro tutta la magia della settima arte: l'arte popolare per eccellenza.

celebre immagine di Viaggio nella Luna
celebre immagine di Viaggio nella Luna

Faenza cita i Lumiére ma dimentica forse Georges Méliès, colui che, come diceva Jean-Luc Godard, sapeva trovare "l'ordinario nello straordinario". E forse lo stesso non vale per Cameron? La più grande accusa che viene rivolta ad Avatar è quella di avere una storia estremamente semplice e banalizzata, che va avanti per stereotipi e che volutamente richiama film come Pocahontas, Balla coi lupi e Piccolo grande uomo. Ma appunto lo scopo di Cameron è quello di trasportarci in mondo fantastico, di farci sognare e al tempo stesso mostrarci la banalità e l'ordinarietà di una storia dentro la Storia. Lo stesso avveniva d'altronde in Titanic in cui l'insistita semplificazione della storia d'amore un po' melensa tra Jack e Rose serviva a non distrarre da quello che era il vero cuore della storia, ossia il tragico affondamento del transatlantico. In Avatar i veri protagonisti non sono Jake Sully e l'affascinante Neytiri, ma è l'intera luna di Pandora, con la sua straordinaria flora e fauna e il legame vitale che vi è tra esse: e non è un caso che in entrambi i film il messaggio sia più o meno lo stesso, ovvero che di fronte alla potenza della Natura, l'essere umano e le sue creazioni nulla possono.

Se in Titanic ad essere punita era l'arroganza e la superbia dell'uomo ("nemmeno Dio potrebbe affondare questa nave"), in Avatar il discorso è ancor più ecologista e pacifista, in quanto a essere condannato è l'atto di violenza perpetrato dagli umani ai danni di un altro popolo e della natura stessa e che non può essere giustificato dalla necessità di impossessarsi delle risorse che essa nasconde: nella sua estrema semplicità, quindi, Avatar riesce a richiamare ad un tempo il tema dell'ecologia, a evocare il fantasma più ovvio, quello dello sterminio dei nativi americani, e a indirizzare un problema attualissimo come quello dell'aggressione all'Iraq: "Se qualcuno è seduto su qualcosa che vuoi, prima lo rendi tuo nemico e poi te lo prendi".

Potrebbe sembrare una contraddizione, ma in questo modo il film più innovativo, tecnologico e costoso della storia del cinema diventa il più ecologista, quello che ci invita ad apprezzare più di ogni cosa la vita e il legame che c'è tra ogni essere vivente. D'altronde potrebbe essere considerato ancora più contraddittorio spendere dieci anni a perfezionare un perfomance capture per rendere al meglio (cosa che in effetti avviene) le interpretazioni di quegli attori che in modo straordinario recitano all'interno di quei maestosi corpi blu e alieni, o anche il fatto che la tecnologia 3D più avanzata che si sia finora vista al cinema sia anche quella meno meramente ludica, la meno invasiva, la più rispettosa verso l'opera e lo spettatore: non quell'effetto tanto pacchiano e decisamente vintage della pallottola o della freccia sparata addosso, ma un 3D che coinvolge, dona profondità alla pellicola e regala una totale immersività che aggiunge effettivamente un qualcosa all'esperienza filmica.

Una immagine del film Avatar, diretto da James Cameron
Una immagine del film Avatar, diretto da James Cameron

A fare di James Cameron un bersaglio di critici e detrattori sono anche le dimensioni esorbitanti dei budget a sua disposizione: non è stata ancora comunicata una cifra ufficiale per Avatar, ma si parla di un budget da record tra i 400 e i 500 milioni di dollari. Ma anche qui in fondo si tratta di uno strumento al servizio di un'idea di cinema volta alla grandiosità visiva e alla creatività immaginifica che, come dicevamo prima, è stata sin dagli albori una delle due anime (anch'esse contraddittorie) della settima arte. Un regista e produttore dello spessore di Cameron potrebbe permettersi qualsiasi tipo di progetto e capriccio, ma gli ultimi suoi due film sono volutamente oltre che un prodotto artistico anche i più grandi fenomeni commerciali che memoria ricordi, e questo gli permette proprio di raggiungere il maggior numero possibile di spettatori e di stimolare e rivitalizzare l'intero mercato cinematografico che guarda a lui giustamente come ad un pioniere ed un leader: una delle poche personalità parimenti amate dal pubblico, dall'industry e dalla critica. Ci sono e ci saranno sempre i Faenza del caso, ma dubitiamo che un Re che non ha voluto accontentarsi del nostro mondo, ma ha anzi puntato a pianeti e lune lontane, possa darvi alcun peso.