Recensione La principessa e il ranocchio (2009)

Considerato il pericolo del confronto con i capolavori del passato, alla Dinesy si è voluto trasformare una debolezza in una risorsa: numerosissime sono infatti le autocitazioni che, pescando a mani basse nel repertorio che noi tutti amiamo, traghettano la storia in una dimensione più rilassata e divertente, ancora una volta grazie soprattutto ai personaggi secondari.

Tutto l'old-style della Disney

Per tutto il secolo scorso, Disney è stata sinonimo di cartone animato. Tutti i più grandi classici della letteratura per l'infanzia (e non), da Biancaneve, a Cenerentola, a La Sirenetta, sono passati sotto le abili mani di Walt ed eredi, per la felicità di grandi e, ovviamente, piccini. Ma sono soprattutto le avventure originali, immaginate ex novo dai creativi della casa americana, ad aver lasciato l'impronta più significativa nella storia recente dell'animazione: era difficile confrontarsi con successi come quelli de Il re leone o La Bella e la Bestia, eppure è arrivata la Pixar che, grazie a design e temi che strizzavano l'occhio anche al pubblico più navigato, ha fatto vacillare lo strapotere del colosso californiano. Che, per correre ai ripari, ha infatti pensato di comprarsi l'azienda di Steve Jobs. Tutto bene quel che finisce bene, quindi, tranne che per i nostalgici della buona, vecchia, animazione fatta a mano, che ormai sembrava destinata a diventare un prodotto di nicchia, capitolata in favore della nuova e computerizzata spettacolarità. Ma la tentacolare Disney sembra avere proprio attenzioni per tutti, ed ecco quindi arrivare nelle sale La principessa e il ranocchio, fiaba classica che più classica non si può.

Tutto comincia con una bella, ma un po' sfortunata, protagonista: Tiana, giovane cameriera nella New Orleans degli anni Venti, è rimasta orfana di padre e, proprio per coronare il sogno del genitore, si sfianca a forza di doppi turni per racimolare il denaro necessario ad aprire il proprio ristorante. Quasi giunta alla realizzazione del proprio obiettivo, dovrà però scontrarsi con un ostacolo davvero inusuale. In città, infatti, è arrivato il gaudente ma squattrinato principe Naveen, che, abbindolato dallo stregone voodoo Facilier, è stato trasformato in ranocchio: l'invidioso ciambellano, nelle aitanti sembianze del principe, potrà così sposare la ricca Charlotte e di fatto condannare la città al dominio degli "amici dell'aldilà" di Facilier. Naveen, imbattutosi in Tiana e credutala una principessa, la convince a farsi baciare, nonostante la riluttanza della ragazza al contatto anfibio, ma sorprendentemente questo non risolve le cose, anzi tramuta anche Tiana in un'agile ranocchia.

I due dovranno quindi recarsi da Mama Odie, rinomata maga residente del bayou, in cerca di una soluzione al problema; per farlo saranno costretti a ricorrere all'aiuto di Louis, alligatore virtuoso del jazz che sogna di potersi esibire in un complesso di umani, e la lucciola Ray, platonicamente innamorata di una stella.

Un ritorno alla classicità non soltanto estetico, quindi, ma che coinvolge anche l'intreccio della storia, che si rivela essere il più collaudato dei percorsi che, dalla troppa rigidezza da una parte e dalla troppa esuberanza dall'altra, porterà ad un equilibrio perfetto esaltato dal reciproco amore. Le sequenze iniziali, un po' lente e stentate, non aiutano a scrollarsi di dosso la sensazione di déjà vu, nonostante l'ambientazione originale e dinamica, che spazia dagli scenari cittadini, dei sobborghi ma anche dei palazzi signorili, a quelli meno civilizzati della palude e del fiume Mississippi. Probabilmente alla Disney erano ben consci di stare incappando nel pericolo del confronto (e dell'identificazione) con i propri stessi capolavori, e hanno tentato di trasformare una debolezza in una risorsa: numerosissime sono infatti le autocitazioni che, pescando a mani basse nel repertorio che noi tutti amiamo, traghettano la storia in una dimensione più rilassata e divertente, ancora una volta grazie soprattutto ai personaggi secondari. Un espediente riuscito, quindi, ma pur sempre un espediente: una riproposizione delle proprie carte vincenti, e una sfumatura color cioccolato alla pelle della protagonista, non rappresentano certo la significativa evoluzione delle tematiche che avrebbe dovuto fare da contraltare all'estetica old-style.

Alla Disney temevano la computer grafica, le meraviglie prospettate dal digitale e dal 3D, senza rendersi conto che l'innovazione non è soltanto un prodotto dei mezzi tecnici, ma si fa soprattutto con le idee, con il coraggio di cambiare, di affrontare nuovi orizzonti. La principessa e il ranocchio è un buon prodotto, la cura e la perizia con cui è stato pensato e realizzato è evidente in ogni fotogramma, dalla veridicità storica delle ambientazioni all'efficienza dei doppiatori, ma è anche un film troppo ancorato alla sua stessa storia, alla tradizione di cui si fa baluardo. Una forma d'arte sempre splendida come quella del disegno a mano merita invece di essere esaltata con temi e spunti nuovi, libera dall'immobilismo che deriva dalla paura del confronto con un passato glorioso e con un presente ricco di nuove potenzialità espressive, che però nulla tolgono a quelle già collaudate.

Movieplayer.it

3.0/5