Recensione Ben X (2007)

Arriva dal Belgio questa sorprendente pellicola, che riesce ad esplorare il disagio giovanile da prospettive piuttosto insolite.

Second Life

Con notevole ritardo rispetto a quanto avvenuto in altri paesi, un piccolo e fortunato caso cinematografico come Ben X ha potuto finalmente conquistarsi, anche in Italia, una regolare distribuzione in sala. Tutto ciò mentre già si parla, da qualche tempo, di un possibile remake a stelle e strisce per il film diretto dal belga Nic Balthazar nel 2007. Di Ben X abbiamo scoperto l'esistenza grazie a una recente edizione del Future Film Festival, ma l'originalità e altri meriti facilmente attribuibili alla pellicola le hanno valso anche una serie di riconoscimenti, a livello internazionale, tra i quali spiccano i premi del pubblico raccolti tra Sedona negli Stati Uniti e Montreal in Canada.

Ma cosa c'è dietro il successo di questo film, indubbiamente accattivante e costruito per scuotere emotivamente lo spettatore? In primo luogo la capacità di raccontare il disagio giovanile da prospettive perlopiù inedite, e comunque poco conformi alla prassi di altre cinematografie; una prerogativa, questa, che abbiamo ravvisato giusto in alcune pellicole provenienti da paesi del Nord Europa, evidentemente più aperti a discutere certi problemi in regime di piena libertà. Ci viene in mente, ad esempio, Klass dell'estone Ilmar Raag, quasi contemporaneo e ugualmente provocatorio nel mettere in scena episodi di bullismo scolastico, con echi lontani dei fatti di Columbine (e di altri simili, successi proprio nell'area scandinava).

Ma nel film di Nic Balthazar c'è persino qualcosa di più, in quanto a riflessione sui meccanismi che determinano l'esclusione dal gruppo, con conseguenze talvolta molto gravi. Pur senza rinunciare a un appeal popolare, semmai rafforzato da determinate scelte narrative e stilistiche (il montaggio "clipparolo" di molte scene parla da sè), il cineasta belga crea tensione a partire da presupposti drammatici: il protagonista Ben X è infatti un ragazzo autistico, la cui vita è resa un vero inferno dalle continue sopraffazioni compite dai compagni di classe. Un paio di loro lo sottopongono a scherzi atroci, sotto lo sguardo divertito degli altri che fanno da pubblico, veri e propri ignavi che amplificano la portata dell'umiliazione riprendendo tutto con il telefonino. Ma Ben X (nome che può essere pronunciato in modo da ricordare l'espressione fiamminga "Benniks", ovvero "non valgo nulla"), pur vivendo isolato nel suo mondo, non è nemmeno un soggetto totalmente passivo. Al contrario, si è costruito una seconda identità fiera e combattiva in uno dei tanti giochi di ruolo che circolano nella Rete, dove può coltivare le sue potenzialità inespresse. Arrivando, così, sul punto di sedurre una bella coetanea che non lo conosce di persona, ma che percepisce in lui una misteriosa energia.
Ecco, dalla geniale vendetta che Ben X è in procinto di prendersi nei confronti dei suoi persecutori, si può trarre spunto per sottolineare uno degli aspetti più interessanti e attuali del film: quella stessa tecnologia che in mano ad idioti crea inevitabilmente sofferenza e disagio (le riprese umilianti col telefonino), se utilizzata con arguzia può invece servire a rovesciare i luoghi comuni, a rafforzare la posizione di chi occupa nella nostra società una posizione di debolezza. Tale "lezione" si può facilmente dedurre dall'esaltante piano posto in atto da Ben X, un piano che (nonostante la nota malinconica alla fine preponderante, per via di quelle rivelazioni che tendono a riconfigurarne la deriva sentimentale in chiave meno trionfante) seduce lo spettatore, mostrando come le azioni più basse e squallide intraprese dai bulli, nemici giurati del protagonista, possano ritorcersi contro la loro stessa immagine pubblica.