Recensione Affetti e dispetti (2009)

Sotteso a uno squilibrio psicologico dei personaggi costante e all'urgenza prepotente di una crisi furibonda degli eventi, il film di Silva, alla sua seconda opera, riesce a evitare gli impianti narrativi banali dei drammoni che costipano lo stile e l'originalità.

Psicopatologia della tata

Le abitudini quotidiane a volte imprigionano la mente e oscurano il più lucido e geometrico raziocinio. Diventano pericolose gabbie e claustrofobiche trappole che delineano percorsi tortuosi e dolorosi. Il regista e sceneggiatore cileno Sebastián Silva prende spunto da questa problematica sofisticata, ma non artificiosa, e segue una strada poco battuta con Affetti e dispetti, pellicola dai ritmi hanekiani e dalle atmosfere claustrofobiche di certi thriller domestici spesi negli affanni cronici della tensione affilata.

La storia di Affetti e dispetti ruota tutta intorno alla protagonista Raquel, tata, appunto, di una ricca famiglia altoborghese. La donna è al servizio dei Valdes da più di vent'anni, durante i quali ha svezzato i bambini e cresciuto i ragazzi, dedicandosi corpo e anima alla faccende domestiche. Si sente parte della famiglia e prova a convincersene cercando di partecipare ad alcuni momenti della loro vita attraverso piccoli gesti. In realtà però si sente sola proprio mentre è in loro compagnia perché non è legata alla sua famiglia e non ha nessun altro contatto umano oltre quello. A quarant'anni compiuti il metabolismo della sua maniacale riverenza e della sua religiosa devozione s'inceppa in uno stress psicologico e una stanchezza fisica dalle quali non riesce più a risollevarsi. La signora Valdes decide allora di affiancarle qualcuno che le dia una mano in casa, ma una gelosia ossessiva e paranoica la porta a compiere dispetti diabolici contro le "rivali", impaurita dalla terribile possibilità che qualcuno possa prendere il suo posto nella "sua" casa. La sua paura fa paura! Lo sguardo inquieto e inquietante di Raquel diventa la molla di un pericoloso processo di auto-demolizione nel quale sembra essere risucchiata vertiginosamente. A fare presa sullo spettatore anche la superba interpretazione dell'attrice Catalina Saavedra, che ricorda per l'espressione turbata e misteriosa Judith Anderson, che rese memorabile il personaggio dell'atroce signora Danvers in Rebecca, la prima moglie. Non è un caso che, come Hitchcock, anche Silva abbia cercato di riscattare l'emblematica figura di una donna che riflette nel proprio comportamento uno sconvolgimento intimo, profondo come gli inferi cui rimandano due occhi scuri persi nel vuoto.

Sotteso a uno squilibrio psicologico dei personaggi costante e all'urgenza prepotente di una crisi furibonda degli eventi, il film di Silva, alla sua seconda opera, riesce a evitare gli impianti narrativi banali dei drammoni che costipano lo stile e l'originalità. Il regista utilizza le inquadrature come bisturi nella realtà e nelle sue mani la macchina da presa sembra un imprudente spioncino che indaga e perquisisce i moti del tormento. La sua scelta, metodicamente estetizzante e profondamente accurata, catalizza lo sguardo in una direzione precisa, che s'inanella lungo la traiettoria di un'angoscia che magistralmente si riflette con la stessa alcolica intensità per tutta la durata del film: Affetti e dispetti è un thriller drammatico che sfugge alle categorie e colpisce gli spettatori soffocandoli con un pathos immenso.