Recensione La bella gente (2009)

La bella gente tocca le corde giuste, flagella la coscienza con piccole ma profonde stilettate, fa riflettere e fa ridere di gusto in scene in cui si dovrebbe rabbrividire, scuote perchè pervaso da una tragica normalità e da una costante sensazione di assenza.

Quelli che benpensano

Alfredo e Susanna sono due cinquantenni sposati e innamorati come il primo giorno. Vivono a Roma e la loro è una vita agiata, intensa dal punto di vista lavorativo e intellettuale, impegnata anche nel sociale. Architetto lui, psicologa lei, i due si apprestano a raggiungere la loro splendida casa di vacanza in Umbria per trascorrere qualche giorno di vacanza in tranquillità. Ad attenderli ci sono già i due amici storici Paola e Fabrizio, tanto snob e pacchiani quanto imbottiti di soldi, ed un panorama di campagna da togliere il fiato. Un giorno, mentre insieme a Paola è in viaggio in auto verso il paese per la spesa, Susanna vede una scena che non avrebbe mai voluto vedere: un uomo che prende a schiaffi una ragazzina in abiti succinti che si prostituisce lungo la statale. Combattuta sul da farsi la donna torna a casa sconvolta e chiede al marito di aiutarla a salvare quella giovane donna dalle grinfie dei suoi aguzzini. Alfredo si presta e l'indomani va sul posto e fingendosi un cliente rimorchia la ragazza e con la forza riesce a portarla sino alla villa. E' bellissima, ha i capelli castani, gli occhi di un azzurro mare e si chiama Nadja. Dopo un primo momento di terrore la ragazza comprende che i due vogliono solo aiutarla e decide di accettare la loro proposta di ospitalità e protezione, sperando che sia la volta buona per dare finalmente una svolta alla sua sfortunata esistenza. Incuranti delle chiacchiere e delle conseguenze della loro scelta Alfredo e Susanna si affezionano sempre di più alla giovane fino a quando in casa non arriva il loro figlio Giulio insieme alla fidanzata Flaminia. La reciproca attrazione tra i ragazzi sconvolgerà i piani di tutti e quelli che fino a quel momento si erano dimostrati per lei due angeli protettori dimostreranno di non essere poi troppo diversi dalla bella gente snob, indifferente e classista che frequenta abitualmente il loro ambiente e che fino ad allora i due avevano sempre guardato dall'alto in basso...

Assurdo come il cinema italiano ci propini commedie e commediole inutili, polpettoni storici noiosi e costosissimi, teen movie incommentabili e cinepanettoni a go-go tutti uguali, ed un brillante cineasta come Ivano De Matteo, che in sole quattro settimane e 450 mila euro di budget ha realizzato a nostro avviso uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, sia costretto a tenere invece la sua opera in un cassetto in attesa che il distributore firmatario del contratto originario si decida a tornare sui suoi passi e ad accorgersi della grande possibilità che sta gettando al vento, sbloccare finalmente il rilascio nelle sale italiane. Una situazione paradossale se pensiamo che il film non è solo ottimamente scritto da Valentina Ferlan e diretto con mano ferma e avvolgente da De Matteo, ma anche interpretato magistralmente da un gruppo di attori davvero formidabile, capitanato da una Monica Guerritore in forma smagliante capace di seguire alla perfezione le oscillazioni d'umore e la trasformazione psicologica di una donna sensibile e generosa ma al contempo autoritaria e fondamentalmente insicura; incapace di guardarsi allo specchio e di lottare fino in fondo anche contro se stessa per evitare di finire nello stesso malato meccanismo di indifferenza e ipocrisia che affligge i nostri tempi e che per anni ha tentato di arrestare con dedizione e professionalità, mossa da quella che all'apparenza sembrava una vera e propria vocazione.
La bella gente tocca le corde giuste, flagella la coscienza con piccole ma profonde stilettate, fa riflettere e fa ridere di gusto in scene in cui si dovrebbe rabbrividire, scuote perchè pervaso da una tragica normalità e da una costante sensazione di assenza. Comprensione, amore, solitudine, immigrazione, relazioni superciali e di facciata, luoghi comuni raccapriccianti che descrivono alla perfezione l'ordinaria follia della società odierna, di giovani e di meno giovani che si riempiono la bocca di belle parole ma che al momento della resa dei conti dimostrano una pochezza disarmante che affonda nello stomaco dello spettatore come un sonoro knock out.
Un'ora e quaranta minuti scarsi di cinema italiano allo stato puro come non se ne vedeva da tempo, cinema che ammicca alla cattiveria di Buñuel e che De Matteo dirige senza troppi fronzoli, indugiando fluidamente e delicatamente sui primi piani, sulle tristezze e sugli sguardi dei personaggi, su espressioni, paesaggi, oggetti, quasi a voler dar risalto all'avere piuttosto che all'essere. L'uso smodato di specchi, vetri e immagini riflesse racchiude la voglia del regista di usare un filtro che renda meglio l'idea dell'umana imperfezione, una superficie che rifletta sommariamente la figura nei tratti generali distorcendone e talvolta oscurandone i particolari. Un plauso anche alla scelta del tema musicale, capace di instillare inquietudine e di accompagnare con una cadenza thrilling il delirante crescendo di isteria che conduce all'ultima scena. Una porta che si chiude e un silenzio assordante che lascia senza fiato.

Movieplayer.it

4.0/5