Recensione Il rifugio (2009)

Virtuosistico equilibrio tra thrilling dell'anima e dramma sentimentale, minimalismo delle azioni e reazioni dei protagonisti, Le refuge adotta il rischio dell'intimità, con il piglio ozoniano, compassionevole ma senza insinuanti eccessi melodrammatici.

La giusta distanza

Delicato ed elegante, cadenzato su un ritmo organico e lucido, Le refuge segna il ritorno del regista François Ozon a una tematica che aveva già esplorato nell'ultima opera, Ricky: la maternità. Abbandonato lo svaporato linguaggio onirico della pellicola precedente, Ozon immette in questo film un tocco stentoreo e survoltato, palesato anche dall'incisivo tema musicale ieratico e sulfureo. Compie anche per la prima volta due passi verso percorsi inesplorati: utilizza l'HD per girare in maniera più agevole e fa recitare nel ruolo della protagonista l'attrice Isabelle Carré mentre è incinta. Aspetti che si riflettono nel risultato filmico e ne delineano un originale frame in grado di fare una differenza palpabile.

Parigi. Mousse e Louis sono giovani amanti regolari che credono di godersi la vita mentre li divora l'eroina. Una dose tagliata con la valeriana gli costerà cara: lui morirà, lei si salverà, ma all'ospedale scoprirà di portare in grembo suo figlio. Allontanata dalla ricca famiglia di Louis, che non vorrebbe che la donna tenesse il bambino, Mousse si abbandonerà al flusso della nuova vita che cresce in lei, sostenuta dall'amicizia di Paul, fratello omosessuale di Louis, che la raggiungerà nella casa al mare negli ultimi mesi della gravidanza.
Virtuosistico equilibrio tra thrilling dell'anima e dramma sentimentale, minimalismo delle azioni e reazioni dei protagonisti, Le refuge adotta il rischio dell'intimità, con il piglio ozoniano, compassionevole ma senza insinuanti eccessi melodrammatici, mai disinvolto ma profondamente rispettoso. Il regista di Cinqueperdue - Frammenti di vita amorosa racconta l'infelice parabola di Mousse e Paul, genitori pre-scelti, con una linearità che riesce comunque a montare la suspense e a scolpire l'angoscia e rinuncia agli affondi simbolici in nome di un realismo ambrato che sottrae spazio a sfumature sfuggevoli. La struttura ellittica (l'elaborazione del lutto segna l'ascesa-discesa della protagonista mentre la nascita rigenerativa spinge nell'altro fuoco) formula in maniera quasi rassicurante un canovaccio che Ozon tende con forza e intensità mettendo in gioco dettagli concreti e una tenerezza disarmante. Alla risoluzione schematica si combinano la lentezza drammatica del senso dell'inadeguatezza e le dicotomie sessuali delle equivalenze relazionali delle coppie, che aggiungono alla pellicola il cerebralismo di un dolore accettato e vissuto fino al baratro dell'epilogo. Il parossismo psicologico che avvolge i personaggi e la drammaturgia da camera in cui svela con grazia e accuratezza le loro fragili esistenze ci avvicinano vertiginosamente alle loro storie d'amore. Le refuge è un film da amare nella sua essenzialità d'antan e nel suo contributo artistico: ribadisce che l'immaginario del cinema può essere come un "rifugio" da cui le storie si possono guardare dai contorni ombrosi ai piani intimi degli snodi.