La prima linea: intervista esclusiva al regista Renato De Maria

Il regista di Paz! racconta in esclusiva ai lettori di Movieplayer.it il suo nuovo e discusso film, La prima linea.

La prima linea è un film che ha fatto discutere prima ancora di essere girato, e che molti si apprestano a vedere armati di forti preconcetti: non è abbastanza contestualizzato, non condanna apertamente i suoi protagonisti, non esplicita tutte le tappe della spirale di violenza in cui si erano rifugiati. Eppure La prima linea è un film che non fa sconti a nessuno, ed è ben lungi dall'ammantare di un'aura di eroismo Segio e la Ronconi: è semplicemente un film vero, in cui la storia di due persone si inserisce nel panorama della storia d'Italia ma non se ne fa portavoce, e che come tale andrebbe visto, cogliendo l'occasione di riflettere su un passato recente ma spesso ignorato, senza pretendere di arrivare alla verità completa e definitiva del fenomeno. Abbiamo incontrato il regista Renato De Maria, che in un'intervista esclusiva ci parla della costruzione di questo film e di altri importanti passi della sua carriera.

Quando ha immaginato questo film, aveva già in mente Scamarcio e la Mezzogiorno come protagonisti?
Renato De Maria: Non è stata una scelta travagliata, quella per i due protagonisti. Certo un po' di riflessione iniziale c'è stata, ma abbiamo avuto quell'intenzione quasi da subito. E' stata un'idea di Andrea Occhipinti, che ci è parsa subito ottima e quindi non abbiamo cercato oltre.

Anche nei suoi lavori precedenti, ha lavorato sempre con volti noti del cinema italiano. Crede che per dare una buona visibilità a un film sia indispensabile avere un cast di grandi nomi?
Renato De Maria: Io credo che il successo di un film sia sempre dovuto ad una bella storia, fatta bene. Ultimamente il mercato sta avendo una piccola trasformazione: dopo il momento delle grandi star c'è stato un periodo in cui nessuno era emerso più di tanto, mentre con quest'ultima generazione si sta riformando un gruppo di attori riconosciuti e stimati. E' vero però che un film non si basa tanto sull'attore, ma sulla buona storia, e non si pensa all'attore come fonte del successo commerciale del film. Poi è chiaro che l'idea di chiamare Riccardo Scamarcio possa sembrare un'idea per fare botteghino in maniera semplice, ma accanto a film più commerciali o per ragazzine ha fatto anche ottimi lavori, come Mio fratello è figlio unico, così come Giovanna a film di grande successo ha affiancato lavori meno economicamente forti ma altrettanto importanti. Inoltre mi ha fatto molto piacere avere la possibilità di costruire qui un cast fatto anche di tanti nomi sconosciuti, abbiamo fatto esordire parecchi attori, molti erano proprio alla prima esperienza o al massimo alla seconda. Molto spesso li siamo andati anche a cercare nelle scuole di recitazione, ed è stato molto bello dare una possibilità a così tante facce nuove. Se i nomi importanti riescono anche a fare questo è una grande soddisfazione. Inoltre è molto bello poter lavorare contemporaneamente con talenti già affermati ma anche con persone nuove, con una certa freschezza: molto spesso vedo film con dei cast un po' stanchi, ogni volta che entra qualcuno dalla porta è una faccia conosciuta, mentre questo confronto è stato molto proficuo per me.

L'aver realizzato diversi documentari in passato l'ha aiutata nel dirigere questo film o le ha fatto capire che qui si doveva muovere in un'ottica completamente diversa?
Renato De Maria: Io credo che un'esperienza come quella possa aiutare qualunque regista, e sia un'ottima base per indagare la realtà. Qui, però, in più doveva esserci una certa libertà. Il film ha un'impronta realistica, e infatti ho tratto spunto dal materiale di repertorio che riguardava quegli anni. Ma ho cercato di ridurre al minimo l'utilizzo dei filmati storici, inserendo solo il giusto.

Lei ha lavorato anche per la televisione. Ritiene che i meccanismi produttivi che stanno dietro al piccolo schermo siano più snelli e meno invasivi rispetto a quelli su cui si basa il cinema?
Renato De Maria: Dipende dal tipo di spazio che ci si riesce a ritagliare. Io mi sono sempre trovato benissimo proprio perché mi sono sempre creato un mio spazio, per esempio con Distretto di Polizia, che sono molto contento di aver fatto anche se qualcuno lo vede quasi come una colpa. Ma se è vero che sono arrivati alla nona serie, allora io che ho girato la prima non devo essermi comportato così male. Poi ho fatto altre due miniserie (Doppio agguato e Maigret, n.d.r.), una piccola lunga serie (Medicina generale, n.d.r.), e anche quella è andata bene. Ogni volta bisogna sperimentare, andare veloci, è una macchina con tanti attori che però può anche raccontare delle belle storie, perché spesso hanno dietro sceneggiatori molto bravi che "fanno palestra" in tv. In televisione poi si possono provare anche cose diverse e divertenti, come ad esempio le scene d'azione: certo, se ci si approccia a tutto questo come un lavoro e basta allora è solo stancante, ma se il progetto a cui si lavora interessa ci sono i margini per fare bene. A me la televisione è stata molto utile, è un posto dove vado sempre volentieri, perché mi è servita per allenarmi e anche per crearmi dei nuovi spazi.

Sia ne La prima linea che in Paz! descrive un periodo che era anche quello della sua giovinezza. Ci sono elementi autobiografici in entrambe le pellicole?
Renato De Maria: Gli elementi autobiografici ci sono, in particolare in Paz!: io infatti ero amico di Andrea Pazienza, ho vissuto insieme a lui anche tanti momenti quotidiani e conoscevo bene anche i suoi personaggi fumettistici, sia nel testo che nel sottotesto, e quindi lì c'è veramente molto di mio. Ma anche per quello che riguarda La prima linea: in quel periodo avevo diciotto anni, e frequentavo anch'io i gruppi legali da cui poi sono fuoriuscite le componenti terroristiche; non posso dire ovviamente di essere diventato un terrorista, né di aver avuto amici terroristi, ma conoscevo qualcuno che lo è diventato.

La sua generazione era molto attenta ai temi sociali. Come commenta il generale disinteresse che sembrano avere oggi i giovani per la politica?
Renato De Maria: Ogni generazione è figlia del suo tempo e della sua epoca: allora erano gli anni Settanta in tutto il mondo, anche in Francia e in Germania ci sono stati questi rigurgiti di rivolta, che altrove hanno avuto una trasformazione positiva, mentre in Italia hanno avuto un epilogo tragico, che si è poi ripiegato su se stesso, anche grazie alla strategia della tensione, ai servizi segreti deviati le cui vicende hanno ancora dei contorni incerti. In quello però c'era anche una parte positiva, creativa: si scriveva, si facevano dischi, libri, e la politica era una parte importante in quel processo. Oggi c'è un mondo completamente diverso, ci sono altri media, altri strumenti linguistici, non ci sono più la piazza e la strada. Non voglio dire cosa sia meglio e cosa sia peggio, non voglio demonizzare nulla. Spesso la storia della società ha dei momenti di involuzione, come forse è questo, ma da questo può anche nascere un'evoluzione: io non trovo stupidi i giovani, semplicemente la loro curiosità è dirottata su altre cose, anche perché sono forse meno indipendenti culturalmente, c'è meno autonomia pur essendoci tanti nuovi strumenti.

Lei ha avuto anche delle esperienze come attore, con Virzì e Moretti. Non le piacerebbe in futuro ritornare a essere anche interprete?
Renato De Maria: Mi piacerebbe da pazzi, ma purtroppo per ora mi hanno chiamato solo Nanni e Virzì, e tra l'altro per piccoli ruoli. La mia esperienza di attore è stata estremamente divertente, si vive il set in un'altra maniera, perché le responsabilità sono tutte del regista, e in parte dell'attore protagonista. Per me è stato un grande gioco, recitare dà delle scariche di adrenalina meravigliose. Se qualcuno mi chiamasse, lo farei volentieri.

Quali sono i suoi progetti futuri?
Renato De Maria: Ci sono alcune idee che sto elaborando, e sicuramente voglio ripetere l'esperienza di lavorare con Andrea Occhipinti, che è un produttore eccezionale, coraggioso, che protegge sempre l'autore. Mentre sviluppo queste nuove idee per il cinema lavorerò per la televisione, ma ci vorrà ancora qualche mese per partire perché questo film mi ha veramente preso molto, e mi preme sottolineare che vorrei che la gente lo andasse a vedere per quello che credo sia, senza preconcetti, come un film di grande intensità narrativa.