Recensione Il viaggio di Jeanne (2008)

La Novion è piuttosto brava a dar conto dei sentimenti che si annidano nei protagonisti, senza renderli evidenti. Nei suoi piani lunghi va alla ricerca di quei gesti e di quelle sensazioni che ne definiscano caratteri e orizzonti.

L'isola per crescere

La piccola isola svedese di Styrso fa da sfondo all'ennesimo viaggio che un padre apprensivo ha organizzato con sua figlia per festeggiare il suo compleanno, in questo caso il diciassettesimo. La francese Anna Novion ce lo racconta ne Il viaggio di Jeanne coi toni tipici del cinema d'oltralpe, in una continua danza tra un sottile umorismo che conquista la nostra complicità e momenti d'apparente stasi in cui le relazioni si dispiegano e si intrecciano senza far rumore. A rompere il silenzio è spesso solo il soffio di un vento incessante, il gioco ammaliante delle onde che vanno a morire a riva, accarezzando i bordomare rocciosi. Il paesaggio entra così nella storia come un vero e proprio personaggio, andando a completare quel che i protagonisti si limitano spesso solo a sussurrare con le proprie azioni. I colori dell'isola svedese riempiono poi di calore lo schermo, offrendo una sensazione di serenità che contrasta in modo surreale con la costante tensione che si respira nella pellicola.

Il rapporto padre-figlia è ben delineato, ricamato attorno ai caratteri precisi dei protagonisti (lui pratico e metodico, per quanto immaturo, lei espressione di un'ingenuità destinata a smarrirsi a breve) che vanno via via mutando, in un viaggio che naturalmente cambierà entrambi profondamente. Accanto a loro due donne sconosciute con le quali condividere la casa in affitto, che permetteranno ai due di tirar fuori le proprie personalità e crescere finalmente. L'uomo deve superare una condizione di infantilismo irrisolto che si esprime attraverso la ricerca di un tesoro vichino con un ridicolo metal detector, mentre sua figlia è chiamata a scoprirsi donna e a trovare il proprio posto nel mondo, fronteggiando una relazione col 'nemico' uomo che è arrivata ormai l'ora di far avanzare. Il muoversi di Jeanne nel paesaggio svedese è sempre leggero, come sospinta dal vento, mentre la goffaggine di suo padre si fa via via sempre più marcata, fino al ritrovarsi completamente isolato in un territorio deserto, quasi costretto ad affrontare i propri conflitti interiori.
La Novion è piuttosto brava a dar conto dei sentimenti che si annidano nei protagonisti, senza renderli evidenti. Nei suoi piani lunghi va alla ricerca di quei gesti e di quelle sensazioni che ne definiscano caratteri e orizzonti. La continua ricerca della nuca della giovane Anaïs Demoustier e delle sue esplorazioni riprese di spalle consentono al pubblico di far lavorare l'immaginazione e di entrare nella profondità dell'opera attraverso canali insoliti. Jean-Pierre Darroussin è come sempre irresistibile, alle prese con un nuovo svitato, reso in modo caricaturale ma affettuoso, con un'umanità che solo i grandi attori come lui sanno fornire ai personaggi che devono interpretare, spesso fragilmente abbozzati in fase di sceneggiatura. E in questo caso le mancanze dello script sembrano permettere tempi morti eccessivi nell'economia della storia, che pulsa di sole suggestioni. Toccherà farsele bastare.