Recensione The Last Station (2009)

In 'The Last Station' Michael Hoffman delinea un ritratto sorprendente e intimo di una delle figure più importanti della letteratura mondiale: Lev Tolstoj. Tra la fama dello scrittore pubblico e le sfumature indistinte della personalità dell'uomo appassionato.

Se una notte d'inverno uno scrittore

Melodramma storico, biopic in costume: The Last Station è un film che s'inserisce fin dall'appartenenza a un genere indistinto in una dimensione d'intonata ambiguità. Quello che invece non è lasciato nell'imprecisione è il risultato: il film di Michael Hoffman centra bene il suo interessante plot, gode di un cast d'eccellenza, il ritmo, adeguato all'ambientazione storica, è coinvolgente, la regia garbata e la sua deflagrante carica commovente e divertente convince la testa e il cuore.

1910, il giovane e promettente Valentin Bulgakov viene assunto come segretario personale dello scrittore Lev Nikolaevi? Tolstoj per prendere momentaneamente il posto del suo discepolo Vladimir Chertkov. Valentin entra aggraziato in casa sua e nella sede del movimento tolstojano che lo scrittore ha fondato. Questi due microcosmi gli permetteranno di conoscere meglio il significato della dottrina tolstojana, che sembra ferocemente avversata proprio da Sofya, moglie dello scrittore, e il senso dell'amore. Il suo viaggio al fianco del genio della letteratura russa l'ultimo anno della sua vita non si fermerà nella notte in cui lo scrittore vedrà la sua ultima stazione.

Tra la fama dello scrittore pubblico, accresciuta dal movimento tolstojano più simile a una congrega che a un'ideologia comune, e le sfumature indistinte della personalità dell'uomo nel privato, Hoffman delinea un ritratto sorprendente e intimo di una delle figure più importanti della letteratura mondiale: Lev Tolstoj. Il regista, sostenuto dal co-sceneggiatore Jay Parini, autore del bestseller omonimo che ha ispirato il film, scandaglia le risonanze più profonde della psicologia del grande scrittore russo, partendo da un'angolazione meno nota, eccetto ai suoi maggiori lettori, della sua esistenza: l'amore. La love story tra il genio che precorse i tempi, profetizzando la resistenza passiva e scalzando i preconcetti sessuali, e sua moglie, la vanitosa contessa Sofia, con la quale fu sposato quasi cinquant'anni, è il centro d'irradiazione di satelliti tematici che, attraverso la coralità dei personaggi, vengono dipanati magistralmente senza essere solo abbozzati. Tolstoj fu un genio e in quanto tale pochi compresero veramente il significato delle sue parole, e di parole lui ne disse tante. I suoi insegnamenti, come le idee davvero sovversive e reazionarie, furono spesso fraintesi, interpretati alla stregua di regole, ingabbiate in strutture rigide che non appartenevano al suo pensiero. Il suo ristretto entourage travisò concetti come l'uguaglianza e la libertà svuotandoli del suo senso più profondo: il suo primo segretario Vladimir Chertkov ne divenne ossessionato al punto da assoggettarli a vani universalismi utopici. La moglie, in grado di comprendere le sue parole fin dal primo incontro, rivelato con un delizioso aneddoto durante la narrazione, vide oltre la povertà che Tolstoj, vestito "come un guardiano di pecore", professava appassionatamente.
La coralità è un elemento che spesso nei film rischia di disperdere gli sforzi narrativi, anche quando ben strutturata, ma in The Last Station rappresenta un punto di forza e il film, pur privilegiando quest'ottica, riesce a esprimere pienamente l'amarezza che accompagnò l'ultimo anno della vita dello scrittore, e che lo portò a lasciare Sofia una notte di nascosto, e a calibrarla con un umorismo intelligente e sottile (vedi l'allusiva definizione dei "normalissimi russi"), decisamente pervasivo, che affiora dalle brillanti punch line. Questa commistione timbrica che caratterizza l'impianto drammaturgico e comico dotandolo e arricchendolo di grande emozionalità, dosata con un climax ben modulato nello scioglimento finale, è resa magistralmente sullo schermo anche dall'interpretazione degli attori, che portano in secondo piano scenografia e costumi comunque di ottimo livello: l'intenso Christopher Plummer è l'emblematico scrittore Tolstoj, il premio Oscar Helen Mirren (The Queen) conferma la sua bravura "regale" nel difficile ruolo di Sofia, una donna isterica, vezzosa e chiassosa, James McAvoy è un convincente giovanotto tonto e sentimentale, il caratterista Paul Giamatti è finalmente un irriducibile "cattivo".
Unica nota stonata di una produzione tanto raffinata la ridondanza del tema principale della colonna sonora, insistito fino all'esasperazione nei momenti clou del film.