Recensione Red Riding: 1974 (2009)

Toni noir in salsa british per tre opere appassionanti che pullulano di personaggi e twist narrativi, per mettere insieme un complicato mosaico dello squallore umano che si completa seguendo un ritmo serrato che trova il tempo di pennellare atmosfere inquietanti ma nello stesso tempo ricche di fascino.

L'orrore dello squartamento, il cancro della corruzione

1974, 1980, 1983: gli anni del Lupo, delle vite innocenti spezzate, dei misteri e della corruzione. Almeno così nello Yorkshire, contea nel Nord dell'Inghilterra, che tra gli anni '70 e gli '80 vide salire alla ribalta della cronaca nera l'ormai celebre Squartatore che lasciò dietro di sé una lunga scia di sangue e terrore prima di essere consegnato alla giustizia. Non fu l'unico però, perché mentre il killer misogino si divertiva a squartare le sue vittime, un altro Lupo (di marca finzionale nel contesto che ci troviamo ad esaminare) andava in giro a sequestrare bambine inghiottite nell'oscurità. Un nugolo di misteri avvolge queste figure, così come le forze dell'ordine chiamate a far luce su questa esplosione di violenza, nonché una comunità che spesso finiva con l'essere vittima e insieme complice di un clima malato in cui la coscienza veniva annientata e la morale perdeva il suo senso. Nel suo quartetto di romanzi dedicati alle attività del serial killer, David Peace (lo stesso autore de Il maledetto United portato recentemente al cinema da Tom Hooper) mescola insieme fiction e realtà per andare a indagare una società inquinata dalla corruzione che faceva confrontare una Polizia per la quale "tutto è lecito" e una serie di spietati omicidi che fece dello Yorkshire uno squallido letamaio. Da questo materiale letterario, Channel 4 tira fuori una trilogia destinata alla televisione, che vista però su grande schermo non sfigura, ma sembra trovare invece una dignitosa dimensione.

Evento speciale della quarta edizione del Festival del film di Roma, The Red Riding Trilogy è sceneggiato da Tony Grison che elabora con un piglio davvero intrigante i quattro romanzi di Peace, andando a raccontare la caccia al lupo che aveva coinvolto in quegli anni forze dell'ordine, stampa e opinione pubblica, e testimoniando nello stesso tempo lo sgretolamento morale di un'intera società, a partire da coloro che in essa dovrebbero garantire l'ordine. Toni noir in salsa british per queste tre opere appassionanti che pullulano di personaggi e twist narrativi, per mettere insieme un complicato mosaico dello squallore umano dove le tessere vanno ad incastrarsi al loro posto durante il rincorrersi dei minuti, seguendo un ritmo serrato che trova il tempo di pennellare atmosfere inquietanti ma nello stesso tempo ricche di fascino. E il più seducente tra i film della trilogia è senza dubbio Red Riding: 1974, il primo capitolo del lotto che dà conto di queste barbarie, diretto da Julian Jarrold, che sebbene ceda eccessivamente alla fascinazione di quell'epoca, segue con agilità ed estro estetico le vicende che va a narrare: il punto di vista è quello di un giovane reporter dello Yorkshire Post, a cui presta il bel faccino Andrew Garfield, che seguendo il caso di alcune bambine scomparse si inventa investigatore e va alla ricerca della verità,
imbattendosi in una torbida storia di corruzione che vede protagonisti la Polizia e un magnate dell'imprenditoria locale, ma anche in una tragica storia d'amore con la madre di una delle bambine scomparse. La disamina di una società avviatasi alla disintegrazione e delle influenze su di essa del grigio territorio, dominato dalle fabbriche che sputano in cielo i propri fumi, comincia da qui. L'eroe è acerbo, commette i suoi errori e sconta i suoi azzardi in un finale piuttosto inquietante, dopo aver tracciato un'importante mappa che fa luce sulle dinamiche perverse che regolano la società che qui si indaga. Le riprese in 16mm, supportate da una fotografia tremendamente seducente, ci rituffano in un'era che mantiene intatto il suo potenziale attrattivo, ma gli eccessi nel susseguirsi degli eventi che a morte aggiungono solo altra morte fa un po' storcere il naso.
Si fa più rigorosa e classica l'impostazione di James Marsh, premio Oscar per il documentario Man on Wire, che dirige Red Riding: 1980, secondo capitolo che si concentra su universo fattuale meglio documentato, riferito allo Squartatore originale e ai tredici casi di donne assassinate, tra le quali si cerca affannosamente il link necessario per arrivare alla soluzione del mistero. Affidato tutto sulle spalle di un sempre bravissimo Paddy Considine, il film diretto da Marsh segue stavolta il percorso tortuoso dell'investigatore Peter Hunter di Manchester, chiamato dal governo britannico a condurre un'indagine parallela a quella della Polizia locale. Lo fa con la profondità del 35mm che colora gli spazi con una costante sensazione di claustrofobia. Il nostro secondo eroe si ritrova a operare in un ambiente ostile, nel quale la corruzione si è ormai diffusa a macchia d'olio e non riguarda più soltanto le istituzioni. L'orrore si confonde tra i sobborghi dello Yorkshire e gli uffici delle forze dell'ordine e sebbene salga a galla la verità sugli omicidi, un sentimento di speranza ormai esaurita si impossessa del clima generale dell'opera. Solo nel terzo e ultimo capitolo della trilogia,
Red Riding: 1983 tutti i pezzi dell'oscuro puzzle trovano infine la propria collocazione, rivelando l'agghiacciante realtà dietro la scomparsa delle bambine. Diretto da Anand Tucker, il film segue un doppio binario: da un lato il timoroso avvocato John Piggot (Mark Addy) che subodorando la possibilità di un'infame cospirazione ai danni di un innocente decide di mettere il naso in faccende altrui per rovinare loro i piani; dall'altro il Capo della Polizia Maurice Jobson (David Morrisey) ritrova un barlume di coscienza per mettersi contro quelle stesse istituzioni malate che rappresenta. Il Nord dello Yorkshire riempie lo schermo, mentre i continui flashback vanno via via diradando i fumi che avvolgono l'intera, infame vicenda.
Le potenzialità della Red One vengono sfruttate al meglio, i primi piani trovano luce, e quando l'inquadratura si apre va a giocare con le luci, le ombre e i colori di un territorio in bilico tra paradiso e inferno. Tucker ritrova l'intensità della location (Fitzwilliam) che fa da teatro all'orrore già consumato e alla resa dei conti finale. Il continuo ricorso della regia ai dettagli provvede a chiudere il cerchio, una conclusione dei giochi che si mantiene nel solco dell'esagerazione già esibita nei precedenti capitoli. Proprio in questa scarsa plausibilità degli eventi s'arenano le ambizioni di Red Riding Trilogy che si configura comunque come un ottimo prodotto di genere, ancora più apprezzabile se consideriamo il suo canale di diffusione originario. Fosse stata una fiction italiana si sarebbe facilmente e giustamente gridato al miracolo, per le tonalità accattivanti di questo noir che talvolta sfiorano la poesia, e per l'encomiabile lavoro fatto nella ricostruzione di un'epoca, non solo in termini materiali ma anche di atmosfere e sensazioni. E' comunque facile perdonare gli eccessi e le mancanze in fase di sceneggiatura quando quello che accade sullo schermo (piccolo o grande che sia) è in grado di rapire la nostra attenzione per la maggior parte delle sue sei ore di durata. C'è solo da imparare dai prodotti che arrivano da oltremanica.