Recensione Un amore all'improvviso (2009)

Dal premio Oscar Bruce Joel Rubin ("Ghost") arriva Un amore all'improvviso: storia di un amore difficile e doloroso, interrotta dai viaggi spazio-temporali che sfidano una donna innamorata. Quando il tempo non limita i sentimenti.

Ritorno dal futuro

La tematica del viaggio nel tempo è una materia trita e ritrita tanto nella letteratura quanto nel cinema: ha fatto la fortuna di alcuni autori e di certe opere, collaudandone l'arguzia e provandone la validità in più generi, e decretato il flop per altri, in tempi più recenti. Un amore all'improvviso si profila però come uno strano caso di commistione: tratto dal bestseller "La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo" di Audrey Niffenegger (Mondadori), questa trasposizione per il grande schermo s'interpone nel sottogenere rosa della fantascienza, in un campo davvero poco esplorato. Se si può parlare di film sentimentale senza troppe incertezze, con altrettante insicurezze lo spettatore si chiederà infatti se è di fronte a un film di fantascienza o meno.
La storia romantica di Henry e Clare sarebbe infatti un vero idillio se una sorte assai ironica non ci avesse messo di mezzo un grande, irreversibile e insuperabile ostacolo: Henry ha una bizzarra anomalia genetica per merito della quale viaggia nel tempo e nello spazio. L'uomo soffre di questo disturbo fin da piccolo, quando nel corso di un incidente stradale il suo Io adulto gli rivelò una sconvolgente verità. Da quel momento l'uomo sarà vittima di frequenti "bolle" spazio-temporali che non potrà mai tenere sotto controllo e che gli impediranno di vivere una vita normale. Ma l'amore gli dimostrerà che niente è impossibile.

Lo sceneggiatore del film è Bruce Joel Rubin, vincitore dell'Oscar per la miglior sceneggiatura originale per Ghost - Fantasma nel 1990 e la sua mano la si riconosce nei dilemmi sentimentali dei due protagonisti, che prendono il posto di quelli più problematici e interessanti sulle loro identità, descritte a due voci nel libro. Robert Schwentke riesce comunque a virare l'iperdosaggio emotivo dello script dirigendo una storia tanto fantasiosa bilanciandola con un approccio delicato, senza indulgere alle coazioni tenere e ai risvolti narrativi tragici. Il suo tentativo si esprime in una forma quasi incoerente: Schwentke non esita a risparmiarci una serie di cadrage variamente assortite, che non passano inosservate, come a ricordarci che certe sequenze sono riformulate dalle scelte visive. Il registro stilistico si avverte fin dall'inizio: l'incipit è molto drammatico, ma costruito con una tempistica strategica, e di presa sicura sullo spettatore. Un amore all'improvviso si concentra subito sui profili umani dei suoi protagonisti, ma non ne delinea in profondità le psicologie pur riuscendo a convincerci della bontà dei loro profili. Il ritmo, appesantito dai continui slittamenti spazio-temporali del protagonista, leit motiv abusato nella quantità, pare voglia accompagnare gradualmente il pubblico nella storia, lasciarlo immergere tiepidamente nei girotondi del cuore.
Il risultato è la persuasione che la passione dei due protagonisti sia quasi ultraterrena: lei lo ama dall'età di sei anni quando le si parò tra i cespugli del giardino di casa completamente nudo e le confessò di venire dal futuro, lui se ne innamora in età adulta, quando capisce che lei l'ho aspettato per tutta una vita ed è l'unica donna al mondo che gli abbia mai creduto. Gli spettatori non possono fare a meno di mollare la presa dei sensi, all'erta dai titoli di testa, e cedere alle emozioni: porsi quesiti scientifici, come verrebbe in mente automaticamente per cavarne una spiegazione razionale, modalità ermeneutica cui i fan del serial Lost sono ben avvezzi, sottrarrebbe solo tempo alla chimica dei sentimenti e rischierebbe di mettere in discussione un impianto filmico che poggia le sue basi proprio sul magma relazionale, che esplode nell'irreversibile commozione dello struggente epilogo.
La coppia Eric Bana- Rachel McAdams regge il gioco scenico con un certo affiatamento: Bana non nega la solita verve minimal di attore modesto dal volto perennemente frustrato mentre la McAdams, che con quel sorriso di cerbiatto ricorda inevitabilmente Jennifer Garner, si cala anima e corpo nel ruolo dell'eroina comune, come lo era già stata Jodie Foster nel thriller Flightplan dello stesso Schwentke, che non ha bisogno di missioni impossibili, ma che accetta con una mesta rassegnazione un destino avverso e immutabile, incarnando discretamente il micro-mito femminino. Colpo al cuore per la piccola Brooklynn Proulx (I segreti di Brokeback Mountain), che risplende di luce propria nel ruolo di Claire a sei e otto anni, calamita per gli occhi con una naturalezza e una freschezza davvero incredibili e capaci di riscattare certe opacità del film.
Abbandonatevi dunque alla relatività e alle approssimazioni perché quello che conta davvero qui è una storia d'amore che non ha... tempo.