Recensione A Single Man (2009)

Tom Ford centra l'equilibrio perfetto tra il rispetto della fonte d'ispirazione e la rielaborazione personale, appropriandosi, con maturità incredibile in un esordiente, della fascinazione della storia.

Being George Falconer

Serve sempre una certa preparazione, ogni mattina, per diventare George Falconer. O meglio ciò che il mondo si aspetta che George Falconer sia, da otto mesi a questa parte, da quando una strada insidiosa del Colorado si è portata via il suo compagno da sedici anni, la pienezza della sua esistenza, la realtà del suo futuro. Ma questo venerdì sarà una giornata particolarmente difficile da attraversare per lui: l'affronterà abbandonandosi a tutte le sensazioni, aprendosi tutti gli incontri che l'ultimo giorno della sua vità vorrà regalargli.

Tratto dal bellissimo romanzo omonimo di Christopher Isherwood, A Single Man potrebbe essere additato quale esempio ai realizzatori delle altre pellicole tratte da opere letterarie presentate durante questa 66. Mostra del Cinema di Venezia. Tom Ford centra infatti l'equilibrio perfetto tra il rispetto della fonte d'ispirazione e la rielaborazione personale, appropriandosi, con maturità incredibile in un esordiente, della fascinazione della storia. Una storia di estrema semplicità e spiccata interiorità, a sostegno della quale una sceneggiatura pregevole crea un'architettura cinematografica di grande eleganza ed efficacia.

Altro punto a favore di Ford è il casting: è difficile immaginare il ruolo centrale in mano ad un attore che non fosse Colin Firth. Lo splendore della sua maturità virile accoppiata a una sensibilità straordinaria ne fanno l'incarnazione perfetta del nascente cinema di Tom Ford, e l'unica scelta naturale per un personaggio di malinconica iconicità. Firth si scopre allo sguardo della macchina da presa con commovente arrendevolezza e coraggio dal primo all'ultimo fotogramma di A Single Man, creando una identificazione interprete/pellicola che ricorda, anche se in termini interpretativi ed espressivi molto diversi, quella di Mickey Rourke in quel The Wrestler che vinse il Leone d'oro in questo stesso scenario solo un anno fa.

La componente estetica, per la quale ci si poteva legittimamente aspettare un ruolo esuberante considerata la specificità della formazione artistica di Tom Ford, è matematica controparte visiva alla simmetria dello script, e non è mai fine a sé stessa, ma sempre al servizio di una narrazione a cui la raffinezza della scrittura e la sottigliezza delle performance (perché a Firth si affiancano una vibrante Julianne Moore, un enigmatico e fascinoso Matthew Goode e un angelico e toccante Nicholas Hoult) donano una profondità e una complessità che gli varranno visioni su visioni.
Così, con un unico film, l'icona della moda Tom Ford si conquista un posto nella storia del cinema. Il successo ottenuto, e l'espressione scoperta delle sue ambizioni ("la moda è effimera, il cinema è arte pura e durevole") ci rassicurano sul fatto che questo promettente percorso sia solo all'inizio.

Movieplayer.it

4.0/5