Recensione Lebanon (2009)

La grandiosità di Lebanon sta nel riuscire a riprodurre alla perfezione le sensazioni dei quattro protagonisti all'interno del carroarmato; la stessa sensazione di pericolo e di claustrofobia, l'impossibilità di sapere cosa realmente succede al di fuori di quella mortale trappola di ferro se non attraverso il telescopio del cannone.

La guerra dall'interno

E' il 6 giugno del 1982, primo giorno della Guerra del Libano. Shmulik, Assi, Hertzel e Yigal, quattro ragazzi israeliani poco più che ventenni, sono l'equipaggio di un carroarmato inviato in una cittadina libanese già bombardata dall'aviazione ma ancora popolata da miliziani e combattenti nemici. Da quel momento in poi e per l'intera durata della pellicola vivremo un'intera giornata di guerra attraverso lo sguardo dell'equipaggio; non soldati, non macchine da guerra, ma quattro ragazzi spaesati e impauriti che vivono la battaglia allo stesso modo degli spettatori, un inferno in cui si trovano proiettati praticamente senza preavviso alcuno e senza via d'uscita.

La grandiosità di questo Lebanon sta tutta qui, nel riuscire a riprodurre alla perfezione le sensazioni dei quattro protagonisti all'interno del carroarmato; la stessa sensazione di pericolo e di claustrofobia, l'impossibilità di sapere cosa realmente succede al di fuori di quella mortale trappola di ferro se non attraverso il telescopio del cannone.

La straordinaria fotografia di Giora Bejach riesce a regalarci la stessa visione meccanica e limitata che ha Shmulik, l'artigliere: ad infrarossi quando è notte, fatta di brusche zoomate avanti e indietro quando è alla ricerca di un possibile nemico, con lunghi movimenti rotatori quando perlustra l'area; tutto quello che viene al di fuori del carro lo vediamo solo attraverso l'occhio di Shmulik, con tanto di mano tremolante e pause causate dal panico e dall'esitazione tipica dell'inesperienza.

Il nemico è fuori, ne sentiamo gli spari, le urla, e quando lo vediamo è sempre troppo tardi per agire, quello che succede all'esterno non è altro che un incubo da cui è impossibile svegliarsi; ma anche l'interno del carro nasconde le sue tensioni, con un leader incapace di farsi rispettare, un killer tibutante nel sparare, un pilota che non ha mai guidato se non in condizioni ottimali e il sergente che dall'alto dei maggiori mesi di servizio cerca di imporre il proprio volere discutendo ogni singolo ordine. Quattro personaggi ben definiti dalla sceneggiatura dello stesso regista Samuel Maoz che ha potuto basarsi sulla propria autobiografia, scavando nelle memorie che per lustri aveva cercato di rimuovere.

Il cinema israeliano sempre più spesso affronta di petto il (primo) conflitto con il Libano e lo fa con un cinema di guerra con prospettive originali e sempre diverse: forma e temi cambiano ma non il fine teraupetico, era già successo con i bellissimi Valzer con Bashir e Beaufort, entrambi presentati nel circuito festivaliero con ottimi risultati; a questo Lebanon, che in quanto a bellezza e coraggio non è assolutamente da meno, non possiamo che augurare altrettanta fortuna.

Movieplayer.it

4.0/5