Recensione Capitalism: A Love Story (2009)

Un Moore esplosivo che come sempre sa alternare bene le scene drammatiche a quelle che sono autentiche perle di comicità; sa riportare in auge situazioni paradossali ma spesso ignote ai più e soprattutto sa realizzare una pellicola che è un perfetto prodotto cinematografico a tutto tondo.

Wall Street, I Love You

Ci piacerebbe definirla la prima romantic comedy di Michael Moore, ma la verità è che, nonostante il provocatorio titolo, di amore in Capitalism: A Love Story davvero non c'è traccia, ma piuttosto rabbia, disperazione e un tocco di spirito sovversivo. Ancora una volta Moore non conosce mezze misure: come già nel precedente (e bellissimo) Sicko - e a differenza del suo film più famoso, Fahrenheit 9/11 - , qui non c'è un unico bersaglio ma il "nemico" diventa l'intera società americana, o almeno alcuni dei pilastri sui cui si basa, come il capitalismo, il mercato libero ma selvaggio, Wall Street e l'intera sistema bancario e finanziario del paese. Non è un caso che il film inizi con un lungo montaggio di sequenze di vere rapine in banca e finisca con l'auspicarsi non solo l'appoggio degli spettatori ma perfino una rivoluzione da parte dei poveri (ovvero coloro che rappresentano il 99% della popolazione statunitense) contro i ricchi (1%).

E' davvero questa l'unica soluzione rimasta? Per Moore sembrerebbe essere proprio così e il film sembra voler sposare questa tesi sia quando ci dà testimonianza diretta di molte famiglie a cui è stata pignorata la casa perché non riuscivano più a pagare i troppi interessi chiesti dagli istituti di credito, sia quando ironicamente trasforma un documentario sul declino dell'impero romano in quello della democrazia americana e dell'intero american dream. D'altronde come giustamente fa notare il regista, se finora rivoluzione non è stata è solo perché quel 99% del pubblico ha sempre segretamente celato dentro di sé il sogno e l'ambizione di far parte di quell'elitario 1%, ma con il peggiorare della situzione e l'aggravarsi della crisi internazionale cosa rimane al cittadino comune se non quello di far sentire la propria voce e cominciare a protestare?

Tutto si potrà dire a Moore fuorchè gli manchi il coraggio di farsi avanti in ogni situazione, ed è così che il regista dà il buon esempio e comincia da subito la sua bizzarra, ironica ma anche geniale protesta. Prima riprova a farsi sentire dai dirigenti delle grandi cooperazione e società finanziarie (tenta anche di chiedere udienza alla General Motors come già aveva fatto vent'anni or sono per Roger & Me), poi va direttamente dalle banche per cercare di farsi restituire (con tanto di sacchetto in stile rapina da Far West) almeno una parte dei 700 miliardi di dollari destinati dal congresso (nonostante la contrastante volontà popolare) per salvarle dalla crisi e infine va a circondare Wall Street con il nastro segnaletico giallo a mo' di scena del crimine.

Un Moore quindi esplosivo che come sempre sa coniugare bene scene drammatiche (come le interviste agli sfrattati o ai tanti operai licenziati senza preavviso) con quelle che sono autentiche perle di comicità; sa riportare in auge situazioni paradossali ma spesso ignote ai più (come la paga infima destinata ai piloti di alcune compagnie aeree o il carcere minorile privatizzato in cui vengono rinchiusi minorenni per motivi banali e ridicoli) e sa soprattutto realizzare una pellicola che è un perfetto prodotto cinematografico a tutto tondo. Moore sarà sicuramente populista, mancherà di un vero sguardo documentaristico e di profondità di ricerca, ma non c'è dubbio che i suoi film siano tra i pochi (non solo tra i documentari) che riescono tutt'oggi a far divertire e riflettere un pubblico vasto su temi mai banali. L'unica cosa che possiamo augurargli è di non dover farne più di film così, sperando che il "metodo Obama" possa davvero funzionare e che il prossimo film, magari, sia davvero una commedia romantica.

Movieplayer.it

4.0/5