Con Baarìa, Tornatore inaugura la 66. Mostra del cinema di Venezia

Affiancato dai due giovani protagonisti, Francesco Scianna e Margaret Madè, il regista ha presentato a Venezia la sua ultima opera.

Apre i battenti in maniera sontuosa la Mostra del Cinema numero 66, con l'opera personalissima di uno dei nostri cineasti più amati, Giuseppe Tornatore. Baarìa è un film affettuosamente autobiografico, immaginativo e ricco di dettagli, che a volte scivola nella caricatura e nel sentimentalismo perdendo occasionalmente la sua vivacità. Il regista lo ha accompagnato a Venezia, affiancato da Giampaolo Letta per Medusa, dai due giovani protagonisti Francesco Scianna e Margaret Madè, e dal Maestro Ennio Morricone, autore delle ariose ed epiche musiche di Baarìa che rappresentano la sua ottava collaborazione con Tornatore.
Ma ecco gli estratti dall'affollata conferenza stampa che ha visto gli accreditati al Lido accogliere con calore i personaggi - e soprattutto Morricone - con più calore rispetto al film.

L'architettura finanziaria di Baarìa è complessa quanto il film. Letta, quanto è costata veramente la pellicola? Giampaolo Letta: In effetti in questi giorni ne abbiamo lette di tutti i colori quindi è giusto fare un po' chiarezza: il film è costato 25 milioni di euro, e uscirà nelle sale italiane il prossimo 25 settembre. Vorrei anche precisare che sarà distribuito in due versioni diverse, quella orginale in dialetto stretto, che uscirà in Sicilia, e una per il continente con i dialoghi in siciliano italianizzato. In alcune città non siciliane approderà anche la versione originale, che è quella che sarà distribuita anche all'estero.

Nel film c'è una definizione della parola "riformista" che recita: è colui che sa che a sbattere la testa contro la porta, è la testa che si rompe e non la porta. E' forse un riferimento all'oggi e in particolare a certe colpe della sinistra italiana? Giuseppe Tornatore: Io credo che si tratti di una definizione cinematografica, e anche molto semplice. Spero però che proprio in quanto tale possa essere utile a promuovere una riflessione sul ruolo della sinistra oggi: penso sia pertinente. Il protagonista cerca di spiegare il suo punto di vista a un bambino e per questo si esprime così semplicemente. E' un concetto che deriva anche dalla mia esperienza personale: spesso a cercare di ottenere tutto e subito non serve a nulla. Il buon senso, il saper rincorrere i propri obiettivi in maniera ragionevole è veramente l'unica strada, soprattutto in un momento in cui la convivenza e il dialogo sono possibili e auspicabili, mentre un tempo era impossibile uno scambio con chi la pensava in maniera diversa. Serve ragionevolezza anche nel modo di fare politica.

In Baarìa l'elemento civile e politico ha grande rilievo, ben più che altrove nel cinema di Tornatore. Da cosa nasce questa necessità di raccontare com'era essere comunisti in un tempo in questo voleva dire essere davvero vicini allo stato? Giuseppe Tornatore: Certo, nel film il tema della passione civile e morale è importantissimo. Io sono riuscito a crescere in un mondo in cui ancora si faceva caso a queste tematiche. Non ci insegnavano solo a tenere in mano la forchetta, ma anche a rapportarci col mondo, con gli altri e con i nostri sogni. Così abbiamo imparato a capire l'importanza della passione civile. Oggi questo si è perso, questo paese è cambiato molto negli ultimi 60 anni, e questa non è una delle cose che sono cambiate in meglio. Bisognerebbe tornare a insegnare ai ragazzi che che la nostra libertà deve fermarsi dove inizia quella altri.

Il film ha dei protagonisti ma sembra sforzarsi soprattutto di parlare della collettività, di una Sicilia che rimane quando tutto cambia. Cosa resta della sua terra dopo la litania di sofferenza descritte in Baarìa. Giuseppe Tornatore: Il film non è solo sulla Sicilia, c'è una prospetrtiva attraverso la quale le vicende sono narrate che è applicabile a qualunque altro luogo in cui siamo nati e cresciuti. L'idea era quella di raccontare il microcosmo di un paese facendo sentire continuamente la eco di tutto ciò che succede a distanza. A me piace pensare a un film su un luogo che diventa allegoria di tutti i luoghi in cui noi siamo nati. Chi è nato in provincia ritroverà tantissimi elementi della propria esistenza: per questo la provincia a volte aiuta a capire quello che succede lontano.
Della Sicilia rimane tantissimo, non per niente ci si continua a interrogare sull'essenza della sicilianità. A me piace molto la definizione di Sciascia: "si è siciliani con difficoltà."

Morricone, come ha lavorato con Tornatore? Ho fatto caso ad elementi che sembravano già noti, ha voluto rivisitare il suo lavoro così come Tornatore ha rivisitato il suo cinema? Ennio Morricone: Ho imparato molto tempo fa che non bisogna amare troppo un film su cui sta lavorando, si rischia di passare la misura e di perdere il controllo. Stavolta, pur amando molto Baarìa, non credo di avere esagerato e non ho sparato l'artiglieria degli ottoni verso il cielo, ma invece ho ma mantenuto una fase di suono molto omogenea nonostante la sua dinamica interna.
Mi rivisito senza volerlo. Io sono sempre io e ricomincio sempre dall'ultimo lavoro eseguito per andare avanti; certi stilemi riemergono, è inevitabile scrivendo un'intera partitura dall'inizio alla fine. Quindi no, non ho lavorato ripensando ad altri lavori.

Tornatore, non è stato diverso stavolta lavorare con Morricone? Giuseppe Tornatore: Sono vent'anni che lavoriamo insieme abbiamo un codice di lavoro che consente a tutti e due di comprendersi fino in fondo, a volte quindi ci piace rischiare, non ci fermiamo alle prime idee che ci vengono in mente. Qui è stata un'esperienza esaltante con sfide diverse rispetto ad altri film, e ci siamo appassionati a cercare di fare il percorso giusto.
Ennio Morricone: Peppuccio è un collaboratore eccezionale, che mostra progressi continui anche tecnici e musicali, e a volte ci troviamo a voler esprimere esattamente la stessa cosa, con mia grande sorpresa.

Tornatore, cosa l'ha spinta a dedicare un film a Bagheria? Giuseppe Tornatore: Da moltissimo tempo desideravo dedicare un film a Bagheria. Da molti anni mi dicevo che questo mondo che mi era rimasto addosso, le sue aspirazioni e le sue frustrazioni e le sue voci poteva diventare un film, ma mi dicevo che l'avrei realizzato più in là: forse a 60 anni ci sarebbe stata la giusta relazione con la memoria. Non so se c'è del vero o se era autoipocrisia, dato che dentro di me pensavo che il film non sarebbe mai stato fatto. Però è sfuggito di parlarne con amici e collaboratori, e quando ci siamo messi a pensare a cosa fare dopo La sconosciuta, Letta e altri mi hanno chiesto, "Ma cos'era quel progetto a cui ritorni ogni tanto?" Quando gliene ho parlato, si sono innamorati del soggetto e quindi pian piano mi hanno convinto a fare davvero il film. Un film che è costato molta fatica, una fatica ben superiore alle cifre del budget, ma credo sia stato una bella avventura..