Recensione Vendicami (2009)

In un film che per certi versi è più vicino al recente 'Sparrow' rispetto ai gangster movie precedenti, Johnny To si dimostra come sempre un maestro della messa in scena, ma perde di sostanza avvicinandosi a quello che potrebbe essere un anticonvenzionale revenge movie all'americana.

Il vendicatore smemorato

E' il rischio che si corre quando si ha un Festival ricco di grandi nomi, come questa edizione numero 62 di Cannes, quello di ritrovarsi con tanti prodotti sì autoriali ma che rappresentano un'opera minore all'interno della filmografia di grandi registi; è già successo con Ang Lee ed il suo Taking Woodstock, si è ripetuto quest'oggi con Vendicami di Johnny To. Il regista honkonghese con questo film fa il suo esordio in una produzione internazionale, recitata tra l'inglese e il cantonese, e cambia il suo modus operandi lavorando per la prima volta su una sceneggiatura completa fin da subito, con meno spazio per l'improvvisazione. Questi cambiamenti probabilmente si riflettono sul risultato, poiché la storia del cuoco francese con il passato da ex killer che deve vendicarsi del tentato omicidio della figlia e del massacro della famiglia di lei, sembra poco più che una scusa per dare un ruolo da protagonista alla leggenda francese Johnny Hallyday (anche se il progetto era stato inizialmente pensato per Alain Delon), ed è così che ne viene fuori un prodotto piacevole, a tratti interessante, ma comunque lontano dalle opere che l'hanno reso celebre.

In un film che per certi versi è più vicino al recente Sparrow rispetto ai gangster movie precedenti, Johnny To si dimostra come sempre un maestro della messa in scena, soprattutto di coreografiche ed originali sparatorie (come quella che si svolge tra giganteschi cubi di carta straccia) ma perde programmaticamente di sostanza avvicinandosi ironicamente a quello che potrebbe essere un anticonvenzionale revenge movie all'americana. Non è un caso infatti che l'antieroe anziano e fuori allenamento a metà film perda la memoria e di fatto deve abbandonare i suoi propositi di vendetta e lasciarli così ai compagni, che nel frattempo l'hanno fatta propria, per poi ritrovare lo scopo della sua missione solo dopo aver invocato l'aiuto del Signore. Paradossalmente è così che nella parte finale Costello ritorna quasi al passato, perseguendo quella che è una vendetta personale ma come se per lui fosse quasi un incarico come tanti altri che deve aver portato avanti due decenni prima.

La chiave di lettura del film quindi sta tutta nella volontà da parte del regista di creare soprattutto un film che rifletta il suo attore protagonista, cool, silenzioso e apparentemente placido. La scelta di Hallyday come protagonista, affiancato da attori classici del cinema honkonghese quali Anthony Wong o Simon Yam, non solo aiuta il film nella sua collocazione nel mercato internazionale (quantomeno di lingua francese) ma allo stesso tempo è il centro di un tentativo di ristrutturazione del genere che purtroppo riesce solo a metà.

Movieplayer.it

3.0/5