Recensione Yattaman - Il film (2009)

Takashi Miike riesce nell'impresa non facile di adattare la serie di culto degli anni Settanta, scegliendo la strada dell'adattamento fedele e trasferendo su grande schermo la medesima atmosfera anarchica e surreale.

La fantasia al potere

Il fenomeno dei "comic-movie", i film in live action tratti dai fumetti, non è solamente americano: anche in Giappone, grazie allo sviluppo degli effetti speciali digitali e all'attenzione che il pubblico locale d'ogni età ha da sempre riservato nei confronti di fumetti e animazione, prolifera ormai da alcuni anni anche il "manga-movie". Non stupisce affatto che i più grandi successi al botteghino nipponico negli ultimi anni siano stati totalizzati da film ispirati a manga o serie televisive del momento, come Death Note o Nana (non a caso entrambi presentati nelle edizioni precedenti del Far East Film Festival); oppure di grandi classici del passato, come Dororo, Devil Man, cui si aggiunge l'imminente adattamento di Sampei - Ragazzo pescatore, solo per citare alcuni titoli.

In questo contestola trasposizione cinematografica di Yattaman appariva piuttosto scontata. Così come negli Stati Uniti si fa a gara per acquistare i diritti di sfruttamento dei supereroi targati Marvel e DC Comic, negli ultimi anni divenute delle vere e proprie galline dalle uova d'oro, in Giappone Yattaman, realizzata dalla Tatsunoko tra il 1977 e il 1979, è di gran lunga la serie più popolare tra quelle della saga di Time Bokan (tra di esse anche Predatori del Tempo e Calendar Men). Non è difficile comprendere le ragioni di questo successo: Yattaman è stata tra le prime serie a mescolare fantascienza robotica e gag umoristiche, prendendo bonariamente in giro anime dall'atmosfera ben più drammatica e seriosa (alcune delle quali prodotte dalla stessa Tatsunoko, come Kyashan il ragazzo androide). Partendo da un canovaccio sempre identico - in ciascuna puntata i due ragazzi della banda Yattaman, a bordo del loro robot a forma di cane Yattacan, devono ostacolare le mire del malvagio quanto esilarante trio Dorombo, capitanato dalla sensuale Miss Dronio - l'anime puntava tutto su gag comiche al limite del demenziale, condite il più delle volte da sottili riferimenti erotici, e sulla creatività e anticonformismo del disegno.

Non poteva esserci regista più indicato del visionario Takashi Miike, peraltro già cimentatosi nell'adattamento di manga con La grande guerra degli Yokai e Crows: Episode 0, per portare sul grande schermo le vicende surreali degli Yattaman e della gang Dorombo. Miike ha da sempre coltivato (anche nelle opere più estreme e sperimentali) una genuina e sana vocazione popolare, ammiccante nei confronti della pop-culture (basta guardare un film poco conosciuto come Zebraman, omaggio nostalgico agli eroi in costume giapponesi), che mescola con arditezze formali e vocazione per l'assurdo. In questo caso Miike sceglie probabilmente la strada migliore, quella della totale reverenza nei confronti del modello originale, che viene replicato fedelmente sia per quanto concerne l'esile impostazione narrativa, sia per il design. Le prime inquadrature del film bastano per dichiarare le intenzioni del regista: in un paesaggio urbano fantastico, costruito interamente in digitale, tra i muri dei palazzoni campeggiano manifesti che rimandano a classici d'animazione di quel periodo (ovviamente targati Tatsunoko), da Il Mago Pancione Etcì a L'Ape Magà. Come dire che tutto quello cui di lì a poco toccherà assistere allo spettatore si situa entro i confini del mondo fittizio e immaginario dell'animazione.

È questa la più grande differenza tra il filone del "comic-movie" statunitense e il "manga-movie" nipponico. Mentre i film americani impiegano gli effetti di computer graphic in un'ottica (iper)realista, volta alla più perfetta e minuziosa riproduzione del dettaglio reale, gli asiatici (guardare per credere il magnifico film di fantascienza di Stephen Chow, CJ7), forse anche per limitazioni di natura tecnica, si inebriano totalmente nella dimensione fantastica, realizzando dei veri e propri fumetti in live action, in cui anche i personaggi in carne ed ossa sembrano "gommosi" e indistruttibili. Basta pensare a un'operazione estrema come quella compiuta dal geniale regista Hideaki Anno per il film Cutie Honey, che arriva in alcuni momenti a raggiungere l'astrazione pura. Così anche Yattaman - Il film (che non a caso porta la firma del medesimo designer di Cutie Honey, Katsuya Terada) si caratterizza per momenti del tutto anti-realistici e quasi sperimentali, in cui si sospende la storia e prorompono gag del tutto slegate dal contesto, tra cui numeri musicali.

Nonostante la fedeltà dell'adattamento, Takashi Miike però non rinuncia a un'impronta personale. Il tocco inconfondibile del maestro è evidente, tanto nella totale follia e assurdità di alcune gag (come le improvvise sparizioni di oggetti, dovute a distorsioni spazio-temporali), quanto nell'insistere soprattutto nei sottotesti di tipo sessuale. I riferimenti erotici erano già presenti in abbondanza nell'anime originale, ma il film rende ancora più esplicite e ricorrenti le allusioni di tipo fallico, giungendo a raffigurazioni che potevano uscire fuori solo dalla mente "perversa" di Miike (la scena di sesso tra i due robot giganti, per esempio). Il tutto, ovviamente, senza mai prendersi sul serio e mantenendo un costante registro autoironico, che al contempo sbeffeggia i giganteschi blockbuster in digitale.
Scontato, dunque, dire che tutti i fan della serie televisiva rimarranno più che soddisfatti nel ritrovare le medesime situazioni e personaggi (inclusi caratteri secondari, come il robottino Robbie Robbie e il celeberrimo maialino che si arrampica sull'albero), e nello sperimentare la stessa atmosfera fantasiosa e liberatoria. Yatta! Yatta! Yattaman!