Recensione Nemico pubblico n°1 - L'ora della fuga (2008)

Nella seconda parte del biopic dedicato a Jacques Mesrine, Richet conferma il suo stile ricercato, attento ai dettagli, spesso eccessivo nel dare troppa enfasi ad ogni azione in atto, ma che restituisce splendidamente un personaggio dal grande potenziale di coinvolgimento.

E' tempo di morire

Con Nemico pubblico n°1 - L'ora della fuga, Jean-François Richet conclude il dittico dedicato alla figura del gangster Jacques Mesrine, che dopo l'esilio in Canada torna a imbracciare le armi per svaligiare le banche di Parigi. E' il suo modo per demolire il sistema: Mesrine si crede un eroe e cerca perennemente conferma nei media. E' un uomo che ambisce a fare la rivoluzione, ma i suoi sogni di gloria vanno a implodere tutti negli eccessi di un ego che non ammette sconfitte. Passato il tempo degli amori e chiesto perdono al capezzale del padre, Mesrine non accenna a redimersi e affida la sua vita al revolver, sfidando le autorità che ingaggiano con lui una lunga caccia in stile gatto e topo, dove a vincere è sempre lui, l'uomo capace di evadere da un carcere di massima sicurezza o dall'aula di un tribunale.

Visibilmente appesantito, in questa seconda parte del biopic Vincent Cassel si trasforma completamente acquistando venti chili, senza perdere però in fascino e carisma. La stessa opera mantiene la sua agilità, districandosi con brillantezza tra le imprese formidabili di Mesrine che fa da preda inafferrabile per una polizia francese in grave confusione, perennemente sbeffeggiata dal criminale. In realtà, il bandito finisce più volte in manette, ma riesce puntualmente a evadere con azioni sempre più spettacolari. E' il sistema tutto suo per rivendicare il diritto alla libertà: nessuno può fermare l'eroe Mesrine. La regia danza fenetica tra inseguimenti e sparatorie (che a differenza del primo episodio vedono scorrere ben poco sangue) e nessuna attenuazione viene concessa alle malefatte del furfante. Seppure il film rischi continuamente di cedere all'attrazione magnetica del protagonista, lo sguardo su di lui non è affatto tenero e l'immagine che ne esce è compromessa dai continui deliri di onnipotenza di fronte ai media, che alle sue fughe cominciano a preferirgli notizie di ben altra portata, fino all'atroce punizione inflitta al giornalista di estrema destra reo di averlo tacciato di infamia.
Richet conferma il suo stile ricercato, attento ai dettagli, spesso eccessivo nel dare troppa enfasi ad ogni azione in atto, ma che restituisce splendidamente un personaggio dal grande potenziale di coinvolgimento. L'azione, che soffre raramente naturali momenti di stanca, tiene alto il livello della tensione, supportato da una scelta musicale estremamente felice e da un montaggio che non lascia tregua allo spettatore, trascinato nel vorticoso svolgersi degli eventi. Seppure qualche episodio appaia almeno improbabile, la sua funzione nell'economia del racconto trova giustificazione nelle stesse parole di Mesrine: il pubblico ama le tinte forti e in qualche occasione è giusto dargli ciò che vuole anche se pecca d'assurdità. Chiuso il cerchio della vita di questo intrigante anti-eroe, freddato senza intimazione da una polizia fifona e vigliacca, l'opera trova una degna conclusione e vista nel suo complesso appare solida e capace di offrire un valido intrattenimento che unisce uno stile elegante ma avvolgente a un racconto dal ritmo serrato che ci trascina non solo nelle azioni criminali di Mesrine, ma anche nella sua psicologia un po' infantile, pennellata abilmente nel rapporto tra individuo e media.