Recensione Nemico pubblico n°1 - L' istinto di morte (2008)

Jean-François Richet impressiona per la maturità e l'eleganza con cui gestisce la regia di questo poliziesco tagliato a metà che racconta senza sconti la figura del criminale Jacques Mesrine, sporcandola nel sangue e nelle colpe di una vita trascorsa, con fierezza, al di là della legge.

Il fascino indiscreto della criminalità

La Francia si dimostra sempre più spesso terra di grande fermento sul piano cinematografico. A confermarcelo arriva ora Nemico pubblico n°1 - L' istinto di morte, primo capitolo del biopic in due parti dedicato al celebre criminale Jacques Mesrine, gangster per caso nella Parigi degli anni '60 che scrisse le sue memorie in carcere poco prima della sua evasione, recuperate quali patrimonio prezioso per la realizzazione di questo suo raffinato ritratto che rinverdisce i fasti del cinema di genere. Jean-François Richet ne narra le gesta poco eroiche, ma ugualmente affascinanti, stando attento a non incorniciare la figura di Mesrine in quell'aura di miticità che favorisce l'idolatria gratuita. Il suo Mesrine è ricco di sfumature, di trovate entusiasmanti (su tutte l'ambizione alla libertà a tutti i costi che è pronta a sfidare la morte e che conduce alla clamorosa evasione dal carcere nel Quebec) e zone oscure nelle quali ringhia l'animale che è in lui, pronto a uscire fuori in tutta la sua brutalità. Una figura alla quale Richet non fa alcuno sconto, sporcandola nel sangue e nelle colpe di una vita trascorsa, con fierezza, al di là della legge.

Il film segue quindi la 'carriera' del criminale Mesrine, dalla sua condizione di soldato ribelle in Algeria ai misfatti e alle rapine a mano armata che lo porteranno in una prigione del Canada dove il suo potenziale recupero dovrà passare per feroci torture. A muoverlo è la sete di potere, l'attrazione che esercita su di lui la 'dolce vita' parigina nella quale sembrano spassarsela i fuorilegge. Accanto all'affermazione personale nel mondo criminale, il riconoscimento della gloria attraverso i media: la televisione, i giornali si affannano a testimoniare la sua leggenda, accrescendo così il suo ego sempre più strabordante. La riflessione sottotraccia sul potere dei media è convincente e mai stucchevole, e sa precisare il carattere di un uomo che ha fondato sulla legittimazione del suo status di bandito la sua stessa identità. Vincent Cassel è chiamato a una prova non facile, a sostenere il carisma di un personaggio certamente accattivante, ma i cui panni si fanno spesso scomodi: dalla pistola infilata in bocca alla sua donna per sanzionare nel terrore la sua predominanza di maschio che non ammette catene, alla scia di sangue che lasciano i suoi numerosi delitti. L'attore francese si fa però trovare preparato all'appello e riesce a fornire a Mesrine un'anima e un'energia che sullo schermo si fanno palpabili.
Le contraddizioni del personaggio sono tante e si esplicano anche nel rapporto con le donne. Da una parte c'è il lato romantico, dall'altra un carattere autoritario e menefreghista. Mesrine mette sopra di tutto l'onore, lo persegue calpestando gli altri, cercando addirittura di far passare i propri crimini come giusti, intento a dimostrare come le leggi siano fatte per i ricchi. E' proprio attraverso il suo spirito ribelle che lo spettatore può avvicinarsi a lui senza la necessità di condannarlo a priori. Richet impressiona per la maturità e l'eleganza con cui gestisce la regia di questo poliziesco tagliato a metà e quindi naturalmente incompleto. Dagli split screen dei titoli di testa, nei quali frammenta con grande classe gli ultimi istanti di vita del protagonista montando una sottile tensione che modella subito il mood del film, il regista francese si districa con abilità tra le sequenze d'azione più spettacolari e quelle deputate a lavorare sulle atmosfere, alle quali contribuisce in maniera determinante la splendida fotografia di Robert Gantz. Ossessionato dalla figura di Mesrine, Nemico pubblico n°1 - L' istinto di morte finisce però nel riservare poca attenzione ai personaggi di contorno, buttati nella mischia e fatti fuori con eccessiva fretta, così come appaiono approssimativi alcuni passaggi della storia (il passato in Algeria, l'assalto al carcere) che aprono pericolose falle nel quadro d'insieme. Non è comunque una pellicola che pretende di risultare credibile, la vita di Mesrine già simile a un film è stata ulteriormente romanzata per tirarne fuori un'opera avvincente che intrattenesse lo spettatore attraverso la seducente violenza del gangster movie. Il risultato è per il momento raggiunto, il giudizio complessivo sospeso in attesa di conoscere gli ultimi passi del bandito verso la morte. 'Mi ammazzeranno solo quando lo decido io' dichiarava con supponenza; un film solo in effetti non è bastato per far fuori Jacques Mesrine.