Recensione Gigante (2009)

La piccola opera prima di Adrián Biniez restituisce, col suo spirito sensibile, quell'umanità che troppo spesso le apparenze celano o che le opportunità mancate negano.

La lunga marcia verso Julia

Di solitudini che si incontrano e si riconoscono ne abbiamo ormai conosciute a migliaia immortalate sul grande schermo, e spesso ci hanno toccato il cuore per la delicatezza con la quale sono state narrate. Non si lascia perciò apprezzare per originalità Gigante, piccola opera prima di Adrián Biniez presentata in concorso a Berlino 2009, che col suo spirito sensibile restituisce, come spesso accade in questo genere di pellicole, quell'umanità che troppo spesso le apparenze celano o che le opportunità mancate negano. C'è però un aspetto di indubbio fascino che conquista anche lo spettatore più smaliziato ed è la tenerezza affettuosa con la quale è ritratto Jara, l'imponente protagonista del film, guardia notturna di un supermercato che esperisce la realtà attraverso il filtro dei monitor di sorveglianza, nelle cui immagini individua per caso la sua anima gemella, che si apre un varco nel suo animo grazie a una goffaggine a lui piuttosto familiare.

Lo schermo è per l'uomo lo strumento privilegiato d'osservazione sul mondo e le griglie dei cruciverba che riempiono il suo tempo sottolineano il suo essere confinato in un angolo di solitudine dal quale uscire risulta una fatica non facile da sopportare. E' per questo che il film è ricco di silenzi che dicono tutto del personaggio e ci conquistano, ed è proprio il suo tentativo di uscire all'esterno, di 'sfiorare' il contatto con l'altro, una volta tirato fuori dal suo isolamento dal miraggio di un sogno, ad incantare. I piccoli passi verso Julia, la donna delle pulizie che ha riempito con la sua sola esistenza il nulla del ragazzone trentacinquenne, diventano una sinfonia d'apertura al mondo che trova nella paziente lentezza la nota più adatta per scivolare nella vita altrui. Dagli schermi si passa quindi ai luoghi fisici, la distanza fisica si fa sempre più corta, e la timidezza cerca di far posto al coraggio: per Jara la possibilità di uscire dal proprio angolo passa prima di tutto dalla forza di volontà, oltre la quale c'è un sogno dolce in cui affondare le mani.
Pur votato alla semplicità sia visiva che narrativa, con uno stile che tende ad asciugare tutto il superfluo, soprattutto in termini di dialoghi, Gigante risulta estremamente divertente, grazie a una fisicità che può finalmente recuperare tutto il suo valore. Ecco allora che le immagini nel monitor che il protagonista (un Horacio Camandule che viene voglia di abbracciare) guarda si traducono in comiche irresistibili per lo spettatore, mentre la 'regia' di Jara crea quella poesia che le sue parole non sanno dire. A frantumare i tanti silenzi di cui è composto il film interviene l'heavy metal tanto caro al protagonista, che farà da punto d'incontro con la donna amata. E' attraverso piccole certezze come questa che Jara troverà la forza di completare la sua marcia d'avvicinamento al suo Paradiso. Che per il regista è un giorno di sole in spiaggia, l'emozione del primo vero incontro che non può essere gridata, quando due corpi disarmati, schiena accanto a schiena, non hanno che sé stessi per scoprirsi, oltre le apparenze e le fragilità di una vita trascorsa in solitudine.