Recensione Beverly Hills Chihuahua (2008)

Rigorosamente vietato agli adulti non accompagnati da bambini, il film si va a inserire in quel genere di commedie per famiglie dal respiro avventuroso-romantico e dal messaggio imbevuto di retorica che, almeno in teoria, eleva lo spirito e rassicura lo spettatore alla ricerca di buoni sentimenti.

Un chihuahua è per sempre

Sempre lodato sia il cane tascabile, quello da portare sempre con sé in borsetta, ovviamente griffata! La razza canina più amata dalle star trova finalmente il suo bizzarro manifesto, tra fiero snobismo e sano recupero delle origini, in Beverly Hills Chihuahua, divertissement ultra-kitsch della nemmeno così impegnata Walt Disney Pictures. Rigorosamente vietato agli adulti non accompagnati da bambini, il film si va a inserire in quel genere di commedie per famiglie dal respiro avventuroso-romantico e dal messaggio imbevuto di retorica che, almeno in teoria, eleva lo spirito e rassicura lo spettatore alla ricerca di buoni sentimenti. Solo che in questo caso gli eroi sono cani di varie taglie (con predilezione naturalmente per quelli bonsai del titolo) e i cattivoni dei brutti ceffi intenzionati a rapire la chihuahua simbolo del jet set hollywoodiano, smarritasi per una serie di sfortunate circostanze nella 'giungla' del Messico, per chiedere alla sua adorante padrona un riscatto milionario.

Le premesse sembrerebbero segnare già in partenza il destino di una tale opera, a forte rischio trash esasperato, ma la realtà è che gli spettatori ben predisposti alla leggerezza senza fronzoli troveranno Beverly Hills Chihuahua un guilty pleasure che si lascia seguire fino in fondo senza provare troppa vergogna. Rivolto essenzialmente ai più piccoli, il film sa far bene quello che è chiamato a fare, raccontare cioè della scoperta di sé attraverso un percorso di crescita che porta la piccola protagonista Chloe a spogliarsi o meglio a perdere il suo cashmere preferito, le fondamentali scarpine e il collare di diamanti, per prendere finalmente coscienza delle proprie origini, smorzando quei brutti vizi di una vita passata nel lusso, per tornare alla semplicità dei sentimenti e degli istinti più puri. Nulla di nuovo naturalmente, nessun azzardo che disorienti e risoluzioni innocue delle questioni in ballo, si parte dal chihuahua per parlare degli esseri umani e dei suoi bisogni, che in fondo sono sempre i soliti.
C'è da dire, inoltre, che quando intervengono gli animali in un film è spesso più facile riconoscersi in essi rispetto agli umani che il più delle volte non suscitano la stessa tenerezza. Come gli attori in carne e ossa del film (tra i quali Jamie Lee Curtis e la bionda Piper Perabo) la cui presenza rappresenta per una volta un contorno inutile all'affare animale. Il divertimento si accompagna ai siparietti più deliranti (dalle scene di lotta di classe tra cani ai bordi della piscina alla scoperta del mondo da parte della bisbetica protagonista) mentre qualche prurito di fastidio si fa inevitabile quando si prova a scendere più in profondità. Sulla versione italiana, non si può tacere sul doppiaggio dilettantesco di Luca Argentero che cancella dal film l'incolpevole personaggio a cui è chiamato a dare la voce che per fortuna non risulta fondamentale nel quadro complessivo della storia. Lunga vita ai chihuahua!