Recensione Tony Manero (2008)

La sgradevolezza del protagonista e la sua dissociazione dalla realtà fungono da riuscita metafora politica della coscienza di un Cile silente alla dittatura.

La coscienza sporca del Cile

Nel 1978 nelle spoglie vie di Santiago del Cile si aggirava Raul Peralta, uno strambo personaggio, ossessionato dall'idea di impersonare il personaggio di John Travolta ne La Febbre del sabato sera, tanto che tutti lo chiamano appunto Tony Manero. Tony-Raul spende le giornate al cinema, si commuove di fronte alle gesta del suo idolo e uccide per un televisore, quando non per dei vetri riflettenti da installare nello squallido bar di periferia dove si esibisce insieme a un improbabile gruppo di ballerini. Il suo sogno di sfondare nel mondo dello spettacolo viene incentivato dalla televisione nazionale che annuncia un concorso per sosia di Tony Manero.

In Tony Manero il discorso politico è tutto interiorizzato nel grigiore di una quotidianità senza speranze, negli annunci del coprifuoco, nella violenza mai redenta del protagonista, per esplodere in un interrogatorio improvviso e improbabile, ad anticipare il finale, dove lo squallore dello show televisivo inquieta e sgomenta, perchè fornisce l'immagine di un paese che nasconde le proprie derive storiche, nella patetica rincorsa all'intrattenimento. Stanno qui i pregi di un film che sa sedimentare con profondità ma che si scioglie purtroppo rincorrendo una cifra autoriale vecchia e irritante che da una parte ricorda il filippino Serbis, passato all'ultimo Cannes e dall'altra le provocazioni terzomondiste del messicano Reygadas, per volersi rifare all'ennesime varazioni sul tema degli ultimi anni.

Tony Manero non si affranca mai da un realismo vacuo e ridondante fatto al solito di silenzi, scene volutamente spiazzanti, esplosioni di cupa violenza e l'usuale sesso sgraziato e senza filtri, elemento imprescindibile di un certo cinema in bilico tra autorialismo e tentazioni terzomondiste. La sgradevolezza del protagonista e la sua dissociazione dalla realtà fungono però da riuscita metafora politica della coscienza di un Cile silente alla dittatura, pronto a credere nella più banale delle illusione di affrancamento, senza volersi sporcare le mani.