Recensione Disaster Movie (2008)

Disaster movie è sì caratterizzato da una comicità pressoché incomprensibile nel vecchio continente, ma è anche latore di qualche spunto che varrebbe la pena approfondire.

Disastri annunciati

Questo Disaster movie è un passo avanti nel suo genere. Nessuno si aspetti nulla di molto diverso dai suoi predecessori, intendiamoci, ma, a differenza degli altri film della serie, la vera novità è che alcune delle gag sono costruite puntando su pellicole che, al momento della lavorazione del film, si trovavano ancora in stato embrionale o in fase di produzione.
Si va così da Hancock all'ultimo Indiana Jones, passando persino per una non meglio precisata opera che non ha mai visto la luce.
La premiata ditta composta da Jason Friedberg e Aaron Seltzer introduce questo notevole elemento di novità, che contribuisce a rendere più immediate le citazioni di oltre cinquanta film, ma che è anche sintomo di come la post-modernità, la comunicazione quasi sincopata dell'industria del cinematografo, sia entrata a piene mani nel dipanarsi creativo di una pellicola, fina ad arrivare a condizionarne la struttura dello script e degli snodi narrativi.
E se è pur vero che la direzione della narrazione, in una commedia facile e grottesca come Disaster Movie, è quasi ininfluente, d'altra parte è la prima vera grande innovazione nel filone da quando i due amici diedero vita a Scary Movie.

Era ormai il lontano 2000 quando Friedberg e Seltzer infusero forma a quello che era un istant

movie che dissacrava il mondo del cinema, cogliendo in pieno lo spirito e la tendenza di un'intera generazione. Ma già dal secondo capitolo, e poi via via passando per i vari Epic Movie e 3Ciento, la serie, ma più che altro l'idea stessa sulla quale si fondava, era parsa logora e stantia. Non sarà di certo Disaster Movie a risollevare le sorti, almeno qualitative, di un filone di film di certo non destinati a palati fini; l'aspetto evidenziato, tuttavia, aiuta a cogliere come la necessità di riflettere su se stessi, sia pure in modo ironico (o spesso, diciamocelo, anche banale) di un mondo che troppo spesso si prende sul serio, si accentui sempre di più.

Il film è fragile, si regge su un citazionismo momentaneo, ma è frutto e si innerva profondamente in una cultura pop che è tipicamente nordamericana, con la quale il mondo europeo difficilmente sa fare i conti.
E non ci sono torti e ragioni da distribuire, semplicemente la constatazione di un differente approccio tra due sensibilità comico/umoristiche differenti.
Non ci sentiamo di rigettare in toto l'accusa di qualunquismo e di banalizzazione che verrà imputata al film da più parti, anzi. Ci piacerebbe semplicemente segnalare come non tutti i fenomeni, tantomeno quelli cinematografici, possono essere letti a 360° prescindendo dall'humus nel quale nascono e crescono.