Recensione Chaotic Ana (2007)

Quella che sembra essere una ragazzina dall'innocenza ancora limpida si rivelerà poco a poco chiaro simbolo dell'intera storia dell'uomo, la vittima dei suoi flagelli, l'immagine della donna che cerca il riscatto dalla volgarità e dall'arroganza del maschio.

Ana y la muerte

Non si smentisce Julio Medem, uno dei nomi più importanti della cinematografia spagnola contemporanea, che prosegue imperterrito nella sua personalissima idea di cinema dall'enorme potenza visiva e dalla narrazione caotica a riflettere il mondo interno dei suoi tormentati protagonisti e le loro storie surreali. A sei anni di distanza dal controverso Lucia y el sexo, Medem torna alla regia con Chaotic Ana, presentato in concorso alla seconda Festa del cinema di Roma, un delirio femminista e pacifista diviso in dieci quadri più uno, che parte da una caverna nel cuore di Ibiza per arrivare negli spazi tipici della metropoli, tra ampie strade dominate dall'indifferenza della folla ed enormi grattacieli nel cuore di New York.

Come spesso accade nei film di Medem, protagonista è ancora una volta una donna, una ragazzina dall'attitudine hippy che si trasferisce a Madrid, separandosi a malincuore dall'amato padre-cavernicolo, alla ricerca di sé stessa. Qui impara il valore dell'amicizia, il miracolo dell'amore, ma scopre anche le ombre scure che si muovono dentro la propria anima. Attraverso l'ipnosi, infatti, Ana rivive quelle che sembrano essere tutte le sue vite passate, ma l'unico ricordo che di queste riemerge è ogni volta quello di morti sempre violente, che la tormenteranno consegnandola ad uno stato di perenne ed incontrastabile dolore.
Medem rimescola in ogni momento le carte in tavola, disorientando come suo solito lo spettatore. La pellicola infatti, per ognuno dei suoi capitoli, affronta un tema diverso, facendo però tesoro di quanto riferito fino a quel momento: dalla scoperta di Ana del mondo fuori dalla sua caverna alla quotidianità condivisa con altre persone, dall'amore che entra ed esce dalla sua vita come un soffio di vento, ma è destinato a segnarla per sempre, alla tragicità della reincarnazione e alla barbarie che ogni guerra reca con sé. Il tutto con in sottofondo l'amara litania della morte.

"La storia è qualcosa di terribile, perché è solo una serie di atrocità" rivela ad Ana suo padre e la ragazza farà presto esperienza di questo insegnamento sulla propria pelle e nel proprio animo, scoprendo il velo dalla propria personalissima storia che rivelerà altrettanto orrore, impossibile da domare. Momenti teneri (uno su tutti la splendida scena del ballo tra Ana e il padre) si alternano a sequenze cruente (l'avvoltoio che strappa l'occhio di un uomo per poi divorargli tutto ciò che gli ricopre il cranio) o dominate da una forte carica erotica, come nella tradizione del cinema del regista spagnolo. Quella che sembra essere una ragazzina dall'innocenza ancora limpida si rivelerà poco a poco chiaro simbolo dell'intera storia dell'uomo, la vittima dei suoi flagelli, l'immagine della donna che cerca il riscatto dalla volgarità e dall'arroganza del maschio.

Nonostante il suo cinema stravagante non convinca mai fino in fondo, per le sue storie esagerate ma impalpabili e i caratteri che appaiono ogni volta troppo caricati, a Medem va riconosciuto il tentativo di solleticare il nostro sguardo attraverso scelte estetiche estreme che provano a modellare sui propri toni i nostri stati d'animo. Chaotic Ana sembra un dipinto in movimento dai colori accentuati, e l'arte stessa è diegetizzata grazie alle installazioni, i filmini, i disegni che punteggiano con eleganza tutti i passaggi principali. Naturalmente in questo contesto si sprecano i simbolismi, come i due uccelli (il falco che uccide l'uccello dalle candide piume bianche) che aprono il film e che troveranno spiegazione soltanto nella scena conclusiva. Medem affianca al grido d'amore per la donna il bisogno di riaffermare la necessità della pace e li riunisce in un finale da fuochi d'artificio. Le battute conclusive del film, che rischiano seriamente di inabissarsi nella solita sterile critica al presidente americano guerrafondaio, si trasformano infatti in un atto poetico nel suo estremismo che è sinceramente irresistibile per l'ironia con il quale è messo in scena e coinvolge lo spettatore nel gesto liberatorio della protagonista guerriera che prima umilia il potente e poi lo ridicolizza offrendosi nuda in pasto alla sua rabbia. Delirante.