Recensione When the Leeves Broke. A Requiem in Four Acts (2006)

Un documentario di quelli che appassionano, sconvolgono e commuovono, ma senza nessuno strillo, nessun sensazionalismo, nessuna tesi precostituita.

La (non)vita dopo Katrina

When the Leeves Broke. A Requiem in Four Acts. Difficile pensare a un titolo più calzante per l'eccellente documentario di Spike Lee. Un potentissimo atto di accusa che si dipana in quattro atti per oltre quattro ore e che colpisce nel segno nel modo più assoluto. Tragica e necessaria testimonianza del sempre possibile abissamento del nostro sistema, attivato da una catastrofe naturale. Un uragano che ha raso al suolo New Orleans appena un anno fa: le colpe di chi ha eretto le dighe, gli errori decisionali di chi ha sottostimato il pericolo, l'incredibile ritardo dei soccorsi, ma soprattutto il ritratto un'umanità privata dei suoi elementi costitutivi, lasciata morire abbandonata a sé stessa, impossibilitata a riavere una terra e un posto dove vivere. Negli Stati Uniti d'America.

Non scoraggi la durata apparentemente proibitiva (per quanto sia indubbio che Spike Lee avrebbe raggiunto il core anche con un minutaggio inferiore) perché è un documentario di quelli che appassionano, sconvolgono, commuovono e soprattutto mettono in circolazione i neuroni. Nessuno strillo, nessun sensazionalismo, nessuna tesi precostituita, come piace tanto oggi. Solo tanti volti, parole e immagini a raccontare qualcosa che lascia esterrefatti. Perché deve per forza toccarci nel profondo questa testimonianza pacata, sentita e ben orchestrata dell'inferno che si cela dietro la decantata perfezione tecnico-giurido-economica del capitalismo avanzato. Altrimenti è l'annullamento, l'oblio; il nulla. Perché non è in gioco la Lousiana e nemmeno l'amministrazione americana. E' in gioco la nostra nozione di civiltà, gli elementi che la costituiscono.

La divisione in atti richiamata dal titolo risponde si a una classificazione tematica degli elementi messi al centro del documentario, ma è anche e principalmente un lugubre canto di morte: una perdita irrecuperabile. Requiem della civiltà. Perché dopo l'uragano nefasto New Orleans non è più la città del jazz, della tradizione afro-americana, del multiculturalismo, del carnevale e della parate, ma una discarica e un monito. Una perdita con cui non possiamo permetterci di non scendere a patti.