Recensione Ladybird Ladybird (1994)

Tratto da una storia vera. Sicuramente il film più duro ed arrabbiato di Ken Loach.

La rabbia e il pregiudizio

Tratto da una storia vera. Sicuramente il film più duro ed arrabbiato di Ken Loach.
Ladybird Ladybird (il titolo del film si ispira ad una filastrocca inglese) racconta l'odissea, allucinante e dolorosa, di una donna, sbandata e senza lavoro, a cui vengono tolti progressivamente tutti i suoi sei figli. Una storia che si snoda tra freddi tribunali; periferie desolate; abitazioni squallide; servizi sociali impotenti; leggi insensibili; uomini sbagliati; figli contesi, innocenti vittime di errori altrui.
Film di forti contrasti, a cominciare dalla personalità borderline di Maggie, la madre, protagonista del film. Ken Loach prende in prestito dalla realtà (e questo è l'aspetto più sorprendente) una figura femminile complessa e dolente che, riesce a suscitare sentimenti contrastanti di pietà e indignazione.

Maggie è una donna eccessiva, fortemente problematica, un passato di violenza alle spalle, un'esistenza condotta sempre ai limiti del buon senso e della morale comune, un carattere impetuoso. Ma, Maggie è fondamentalmente una persona bisognosa di affetto, pronta a dare amore e, proprio per questo si rivela una madre legatissima ai suoi figli, sempre pronta a cambiare la sua vita ed a lottare per loro.
Ma, come il realismo critico di Ken Loach ci ha sempre mostrato, le buone intenzioni, la forza di volontà, il coraggio, nulla possono di fronte al perverso meccanismo di leggi e burocrazia con cui la società 'civile' giudica, condanna, ed isola chi è diverso e chi non riesce ad adeguarsi. La storia di Maggie è una storia di profonda infelicità che, neanche l'amore (quello vero, per un esule paraguaiano), riesce a cambiare o a rendere migliore.

Permeato da un profondo pessimismo e da una profonda sfiducia nei confronti delle istituzioni, il film di Ken Loach mantiene una costante tensione drammatica e non cede a nessun momento 'leggero' o ironico, perché non ci possono essere spiragli di luce quando si raccontano storie così buie. Il regista lancia un potente grido di denuncia ma, incredibilmente, tende a giustificare tutti i suoi personaggi (compresi i giudici e gli assistenti sociali) che, vengono presentati come ciechi esecutori di un meccanismo, nel quale sono inesorabilmente intrappolati, senza senso e senza pietà che, mortifica la dignità umana e conduce alla negazione di qualsiasi sentimento umano.

E' una regia invisibile quella di Ken Loach che si annulla di fronte alle immagini di miseria e disperazione e si rende tanto più potente e efficace quanto meno si rende evidente agli occhi dello spettatore. Una scelta meditata, forse l'unica possibile, che lascia campo libero alle splendide interpretazioni degli attori.
E' un dato di fatto che gli attori inglesi siano tutti incredibilmente bravi e, dotati di quella 'vis' drammatica che raramente si riscontra in altre culture (ed in altri attori) cinematografiche (per trovare una simile profondità e una simile 'verità' recitativa dovremmo tornare indietro fino al neorealismo italiano di Vittorio De Sica). Gli attori inglesi sanno raccontare, con molta aderenza, la loro gente; si immedesimano nei loro personaggii e gli danno un'anima , un'essenza, che li trasfigura e li rende incredibilmente reali nella finzione.

E così, Crissy Rock (che prima di recitare in Ladybird Ladybird lavorava come cabarettista a Liverpool), per le due ore del film, è Maggie. La Rock si butta con coraggio in un personaggio spigoloso e pieno di sfaccettature: Maggie, infatti, è fragile nella sua apparente durezza; disincantata ed ingenua; delusa dalla vita e, allo stesso tempo, fiduciosa nel futuro; piena di rabbia e piena d'amore. Un personaggio femminile indimenticabile affidato ad un'attrice dalla sensibilità straordinaria.

Ken Loach ci regala il suo film più sincero (se così si può dire di un regista che, comunque, ha sempre fatto della coerenza, della verità, dell'etica, e dell'impegno civile e politico i capisaldi del suo cinema) e crudele. Il regista non intende essere consolatorio, non dà illusioni, non cerca la commozione o l'indignazione facile: si limita a mostrare lucidamente, senza filtri, senza ipocrisie, la realtà di una società immutabile e spietata che annienta qualsiasi tentativo di speranza e di riscatto.