Recensione Donkey Xote (2007)

Le avventure del celebre avventuriero della Mancha dal punto di vista della cavalcatura del suo scudiero, il ciuchino Rucio.

Cervantes remix

C'è poco da fare, era destino che adottando il punto di vista del ciuchino di Sancho Panza l'opera immortale di Miguel de Cervantes y Saavedra si trasformasse nel rocambolesco Donkey Xote. Miracoli del post-moderno, crisi di identità del popolo iberico o desiderio di emulare (da distanze ragguardevoli) la Dreamworks e i suoi animali parlanti? Agli spettatori l'ardua sentenza, da parte nostra questa versione animata del Don Chisciotte, che occhieggia a film come Shrek senza mostrare la stessa inventiva sul piano della costruzione narrativa e del disegno, ha sollevato non pochi dubbi. Per quanto l'animazione europea abbia regalato negli ultimi anni qualche chicca (tanto per dire il 2007 ha portato, sempre in Spagna, alla realizzazione di una fiaba deliziosa come Nocturna di Víctor Maldonado e Adrià García), ogniqualvolta si avverte il tentativo di imitare i colossi americani e i loro piani di lavorazione il risultato lascia a desiderare. Qui, per esempio, ci troviamo di fronte a un lungometraggio in 3D costato ben 15 milioni di euro, frutto di una collaborazione tra gli spagnoli della Filmax e la Lumiq Animation di Torino. A livello di realizzazione tecnica la pellicola rappresenta, in qualche modo, un progresso rispetto a progetti similari, mentre la scarsa incisività del racconto può essere facilmente ricollegata a una regia fin troppo misurata, sostanzialmente mediocre.

Perciò il discorso si sposta quasi automaticamente sull'autore, Jose Pozo, che pur avendo maturato una certa esperienza nel settore non pare supportato da una ispirazione adeguata. Ce ne eravamo resi conto di fronte al precedente lavoro, El Cid. Da un lato la somma di El Cid e Donkey Xote dà un risultato inequivocabile: il regista (un Pozo senza fondo, se ci è concesso un po' di cabaret) e chi ne finanzia le opere hanno a cuore la riproposizione dei classici della tradizione culturale iberica. La seconda considerazione, di natura senz'altro più soggettiva, è che la rivisitazione di tali opere si è rivelata finora scontata e anche piuttosto noiosa. In questo la palma del prodotto più scadente va senz'altro a El Cid, con l'epos ridotto a una narrazione piatta e a una galleria di personaggi maschili dal character design alquanto rozzo e ripetitivo, perlopiù omoni esagerati, dai muscoli ipertrofici. Ecco, almeno in Donkey Xote si nota l'apprezzabile tentativo di allestire una galleria di personaggi più variegata, sperimentando poi qualche curiosa divagazione umoristica, interessante almeno nelle intenzioni. Sorprende, infatti, che queste nuove avventure di Don

Quixote e del fido scudiero Sancho Panza siano caratterizzate da un gran numero di riferimenti all'attualità, nonché dal fatto, anch'esso leggibile in chiave post-moderna, che i protagonisti siano consapevoli di come le precedenti imprese abbiano raggiunto un vasto pubblico, in grado di decretarne il successo! Tant'è che durante il viaggio i due (sarebbe meglio dire i 4, considerata l'importanza concessa all'asinello Rucio, vero protagonista del film, e all'altra cavalcatura Ronzinante) si imbatteranno in aspiranti cavalieri pronti a spacciarsi per Don Quixote, pur di conquistare l'amore di Dulcinea; ed oltre a loro si affaccerà anche la sinistra figura di un aristocratico, la cui invidia nei confronti del generoso cavaliere trae origine, guarda un po', dall'enorme popolarità che questi ha acquisito tramite il libro.

Peccato che simili spunti siano portati avanti in maniera prevedibile, senza che le gag (specialmente quelle con protagonisti gli animali) vivano di luce propria, neanche fosse la stanca riproposizione di cliché para-disneyani irrimediabilmente invecchiati. A un umorismo che stenta a decollare hanno provato a porre rimedio, nella versione italiana, autori comici come Carlo Turati e Antonio De Luca di Zelig, incaricati qui di ravvivare i dialoghi riadattandoli con estrema libertà. Ma la loro bravura, pari a quella dei doppiatori coinvolti nell'impresa, si è trovata a fare i conti con una materia sin troppo grezza. Lo stesso può dirsi del lavoro svolto negli studi torinesi della Lumiq Animation, per cui si spera che i passi in avanti degli animatori italiani nel difficile campo della CGI siano sfruttati, almeno nelle occasioni a venire, per soggetti più validi e originali.